giovedì 26 settembre 2013
sabato 13 marzo 2010
Comunità cristiane per il XXI secolo
Due articoli, una conversazione e la preoccupazione poco fa segnalata mi suggeriscono alcune riflessioni sul fatto comunitario cristiano nel suo aspetto liturgico.
In uno degli articoli che ho letto questa settimana si segnalava un fenomeno che sta sperimentando l’Unione Battista Britannica. Si tratta del considerevole aumento della frequenza ai suoi culti in rapporto alla diminuzione dei membri di chiesa. L’autore dell’articolo commentava la reticenza delle persone ad assumere impegni con le chiese locali.
Il secondo articolo faceva riferimento alla massiccia uscita dei cristiani latinoamericani dalle chiese istituzionali statunitensi per formare ciò che l’autore denomina “chiese organiche”. Gruppi di cristiani che si riuniscono nelle case senza le strutture proprie delle comunità istituzionali, per condividere le loro differenti esperienze di fede, la lettura delle Scritture e la Cena del Signore. Sono incontri, a mio modo di vedere, dove la conversazione prende il posto del discorso-sermone.
La conversazione che ho menzionato aveva a che vedere con le diverse comprensioni della liturgia da plasmare nelle celebrazioni domenicali cristiane. Parlavamo specialmente della formalità e dell’informalità di ordine culturale, della musica comunitaria utilizzata. Mentre alcuni cristiani sentono la mancanza dell’utilizzo dell’innologia classica e della formalità durante il culto, altri apprezzano quello che è stato definito “tempo di lode” e gli interventi estemporanei durante la celebrazione.
Quindi, dobbiamo dire che la comunità cristiana si deve reinventare costantemente nella sua riflessione storica. Lo ha sempre fatto, e deve continuare a farlo. Questo reinventarsi deve essere pensato dalla premessa che ci offre Gesù quando affermò che “l'uomo non è stato creato per il sabato”, ma piuttosto il contrario. Da questo punto dobbiamo prestare attenzione ai cambiamenti sociali e di usanze che stanno avvenendo nelle nostre società e nelle persone che ne fanno parte, in modo che la realtà cristiana sia rilevante e conforme alle sane aspettative che il Vangelo solleva.
Desideriamo raggiungere tutti con il Vangelo e perciò, nella maniera paolina, la comunità cristiana essendo libera da tutti, si farà serva di tutti – nella sua determinazione storica – per guadagnarne il maggior numero (1 Cor. 9:19). Per questo, ritengo che le nostre comunità, ben lungi ormai dal concetto antico di parrocchia, dovrebbero plasmare le proprie attività di incontro e di celebrazione su tre aspetti basilari.
Il primo aspetto ha a che vedere con le celebrazioni formali. Ciò significa che la comunità cristiana deve offrire celebrazioni la cui liturgia sia formale per supplire ai bisogni di quei cristiani che sono confortati da questi modelli liturgici (es.: liturgia riformata / innologia classica).
Il secondo aspetto è in relazione con quello che io definisco “liturgia conversazionale”. Cioè una liturgia che essendo formale non è formalista. Una liturgia che concede spazio alla conversazione e che non reprime gli estemporanei. Che utilizza una innologia contemporanea, ma che protegge i suoi contenuti dalla mediocrità di molti dei così mal chiamati “coretti” attuali, nei quali l’intimismo individualista e la fuga dalla realtà, attraverso i loro testi, sono frequenti.
Il terzo aspetto che propongo è lasciare spazio (libero da critica e proselitismo) nella comunità a coloro che, senza essere membri ufficiali o attivi, desiderano frequentare, a volte in modo aleatorio, le celebrazioni e le attività comunitarie.
Le comunità cristiane, senza rinunciare alle loro rispettive identità, devono optare per forme miste di celebrazione e di incontro con il preciso obiettivo di arrivare alle necessità esistenziali di tutti i loro membri e non. Delle comunità che siano spazi in cui tutti i cristiani si accolgono gli uni gli altri, non per contendere sopra opinioni (Rom. 14:1), ma per accompagnarsi reciprocamente nella crescita come persone.
La missione più caratteristica della chiesa è essere assemblea di incontro fraterno in cui i suoi partecipanti recuperano forse per realizzare la propria testimonianza cristiana nelle loro scuole, nei luoghi di lavoro, cristiani e non, sindacati, associazioni di vicini, movimenti sociali, partiti … Da qui l’importanza che le nostre celebrazioni liturgiche e gli spazi di incontro rispondano a tutte le sensibilità esistenti tra i cristiani e le cristiane del XXI secolo.
Ignacio Simal Camps
Da: Lupa Protestante – venerdì 12 marzo 2010
Ignacio Simal, Comunidades cristianas para el siglo XXI. Traduzione di Patrizia Tortora
sabato 23 gennaio 2010
Segnali di emersione - 4
I programmi delle chiese sono orientati a fare emergere ministeri locali valorizzando doti e talenti personali e puntando alla formazione di “quadri” o “intellettuali organici” (qualche volta persino sorvolando sui doni spirituali e la loro tenuta nel tempo). I membri sono quindi risorse per il lavoro della chiesa.
Il “genio” della Riforma protestante fu invece proprio quello di trasformare i laici in “preti”. La dottrina del “sacerdozio universale”, infatti, non fu altro che il tentativo di rendere ogni credente un sacerdote, ossia, non un parroco che ha responsabilità pastorali nella chiesa, ma un sacerdote in grado di mettere in relazione una persona con Dio.
Questa funzione viene riscoperta e ripristinata nelle chiese emergenti. I programmi delle chiese valorizzano soprattutto i doni spirituali e puntano alla formazione di missionari. I membri sono perciò risorse per la missione della chiesa.
sabato 9 gennaio 2010
UNA NECESSARIA MISTICA CRISTIANA (Enric Capò)
Tutti i credenti che sono arrivati a Dio, lo hanno fatto per strade diverse. Alcuni lo hanno fatto per una convinzione intellettuale, altri per affinità religiosa, altri per principi morali. In questo percorso sono intervenuti la mente, il cuore o la coscienza. E’ stata, senza dubbio, un’esperienza positiva e nella sua pratica hanno trovato ricchezza spirituale per le proprie vite. Però, non per tutti questa esperienza di Dio è stata globale, cioè un’esperienza che abbraccia tutto e coinvolge tutto. La fede per molti è rimasta ai margini, nella religiosità, nelle norme, nella moralità, nei riti, nelle usanze... Si limitano ad essere protestanti, cattolici o pentecostali. Non sono andati molto più in là, e ci sono molti che oggi stanno cercando altre esperienze interiori nelle quali trovare la pienezza a cui l’essere umano aspira. E, spesso, lo fanno nei circoli esoterici di altre culture che sono giunte ad esperienze mistiche di grande trascendenza. La mistica è un’esperienza comune a tutte le religioni, ma non sempre trova le strade giuste per esprimersi con chiarezza.
Tra noi evangelici, la mistica non è ben accolta. L’abbiamo associata alle esperienze straordinarie ed irraggiungibili dei grandi mistici spagnoli e ci sembra che sia fuori dalla nostra portata, per il suo carattere straordinario e per non essersi adattata ai parametri della dottrina comunemente accettata. Ma nessuna di queste due caratteristiche deve intimorirci. La fede cristiana si muove sul terreno di ciò che è straordinario, incomprensibile, fantastico e, spesso, anche i grandi credenti, nell’esprimersi con chiarezza, hanno rasentato l’eresia. Pertanto, la mistica è un’opzione cristiana che deve entrare pienamente nella nostra vita di fede. Sicuramente non ci sarà possibile raggiungere le cime che ci descrivono coloro che chiamiamo mistici, però c’è un altro livello, quello della vita di tutti i giorni, in cui l’esperienza mistica deve trovare posto. Le cose ci andranno male se nella nostra vita di fede ci conformeremo ad una convinzione intellettuale, ad una sottomissione alle norme religiose o ad una scelta per ragioni morali. Se non arriviamo ad un altro livello, alla scoperta della presenza di Dio in noi ed alla possibilità della relazione e della comunione con Lui, resteremo ai limiti del cristianesimo, nei suoi postulati puramente religiosi. Resteremo dentro i limiti di ciò che chiamiamo religione cristiana, che è giusta e buona, ma non sufficiente. Perderemo la ragione principale dell’essere cristiani: essere una cosa sola con Cristo e vivere la fede al livello dell’esperienza di Dio.
Il grande mistico che è stato l’apostolo Paolo è un esempio di come vivere la vita cristiana. In Paolo si trova la mistica come esperienza precisa, così come potremmo trovarla in San Giovanni della Croce o in Teresa d’Avila, e la mistica come esperienza quotidiana, di tutti i giorni. Sarà difficile seguirlo nel suo viaggio al terzo cielo (2 Cor. 12:2), ma è gratificante accompagnarlo nel suo viaggio verso la vita interiore (Rom. 7:7) in cui giunge ad una tale comunione con Dio che non gli è più possibile distinguere tra la sua vita e quella di Cristo in lui: “non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal. 2:20). E’ una mistica di tutti i giorni che ispirò il pensiero e tutta la vita dell’apostolo. La sua vita e la sua comunicazione della fede sono impregnate dall’esperienza della sua conversione e dalla rivelazione che ricevette (Gal. 1:12) durante il suo soggiorno nel deserto dell’Arabia. Giunse ad una tale intimità con Dio da affermare di avere la mente di Cristo e questa è una possibilità aperta a tutti i credenti (1 Cor. 2:16).
Se non si realizza questa esperienza, è molto dubbioso che possiamo parlare di cristiani nel senso profondo del termine, benché accettabile nel suo significato sociologico. Essere cristiano implica un’unione mistica del credente con Cristo. Si tratta di un incontro con Dio, ma non all’esterno, dove “oggettiviamo” tutto, ma nella vita interiore. Non troveremo Dio attraverso le cinque strade che propone Tommaso D’Aquino per provare la sua esistenza, né nelle speculazioni filosofiche di Anselmo di Canterbury, né nelle grandi cerimonie ecclesiastiche. Non c’è un Dio lì fuori che possa essere trovato dalla ragione umana. C’è un Dio, il nostro Dio, nella profondità della vita, lì dove troviamo noi stessi e, facendolo, ci vediamo nello specchio di Dio.
Cercare Dio implica un viaggio nella parte interiore della vita, nelle sue profondità, dove non ci sono finzioni né scuse, dove troviamo l’autenticità della vita ed in essa quello che realmente siamo: i nostri limiti, i nostri errori, la nostra piccolezza e, al tempo stesso, la nostra grandezza come esseri umani pensati da Dio, amati da Lui e da Lui riscattati. E’ lì, nel più profondo della vita, dove recuperiamo la nostra autostima quando ci sentiamo confrontati con la realtà dell’amore di Dio. La fede non è un credo, né una dottrina, né una pratica, ma un’esperienza di ciò che è trascendentale, del Dio che sta nel fondo della vita, che ci si è manifestato in Cristo e ci invita ad una vita di comunione e di amore. Una comunione che ci trasforma e ci conduce ad una vita nuova, quella dell’amore verso tutti gli uomini, specialmente verso quelli che sono vicini e verso i più piccoli, gli emarginati e gli oppressi del nostro mondo.
L’unione mistica del credente con Cristo è all’origine della pace interiore, della gioia permanente, della vita rinnovata. Non è un atteggiamento di attesa davanti a ciò che ci accadrà nel futuro, né una chiamata alla pazienza nella speranza della realizzazione del regno di Dio. E’ un presente pieno di luce e di gioia. Per chi vive in Cristo, “le cose vecchie sono passate e sono diventate nuove” (2 Cor. 5:17). Vive la nuova realtà del regno di Dio, che non è solo speranza del futuro, ma una promessa ed una realtà del presente. Paolo ci dice che “se speriamo in Cristo per questa vita soltanto, siamo i più miserabili degli uomini” (1 Cor. 15:19), ma è anche vero il contrario: chi spera in Cristo solo per l’altra vita si perde ciò che di più prezioso c’è nel presente.
Chi vive in modo autentico l’unione mistica con Dio, gode di una vita di pienezza. Non ci sono più tenebre né timori. La morte ed il sepolcro hanno perso il loro orrore. Ha sperimentato la nuova creazione in Cristo e nella sua prospettiva del futuro, non c’è nessuna condanna, ciò non significa che sia esente dai mali di questo mondo, ma che si trova nelle mani di Cristo e che Lui ha il controllo della sua vita. Forse non vivrà momenti di esaltazione religiosa, né esperienze straordinarie di Dio, ma questo non è importante. La cosa fondamentale è essersi sintonizzato con Dio e vivere l’esperienza di Dio come un’esperienza quotidiana, rinnovata ogni mattina, vissuta nella gioia della salvezza di Colui che si manifesta come l’Amore: Dio. Naturalmente, il futuro del cristianesimo in Europa e nel mondo è nelle mani di Dio, però lo ha messo anche nelle mani di quei suoi amici di tutti i giorni, che vivono in comunione con Lui e diffondono in questo mondo la sua luce.
Enric Capó (Lupa protestante, sabato 2 gennaio 2010) - http://www.lupaprotestante.com/
Traduzione dallo Spagnolo di Patrizia Tortora
mercoledì 6 gennaio 2010
Segnali di emergenza - 3
sabato 26 dicembre 2009
Carta per la compassione
Il principio della compassione risiede nel cuore di tutte le tradizioni religiose, etiche e spirituali, e ci chiede di comportarci con gli altri nello stesso modo in cui vorremmo che gli altri si comportassero con noi. La compassione ci spinge senza tregua ad alleviare la sofferenza delle persone, ci fa scendere dal trono posto al centro del nostro mondo per far sì che qualcun’altro possa salirci, ci fa onorare l’inviolabile santità di ogni essere umano, trattando tutti allo stesso modo, senza eccezioni, con assoluta giustizia, equità e rispetto.
~ di ristabilire l’antico principio secondo il quale sono illegittime le interpretazioni della scrittura in cui si incita alla violenza, all’odio o al disprezzo
~ di assicurare ai giovani un’informazione dettagliata e rispettosa sulle tradizioni, sulle religioni e sulle culture
~ di incoraggiare una visione positiva della diversità culturale e religiosa
~ di essere empatici con chi soffre – persino con chi consideriamo nemico.
lunedì 14 dicembre 2009
Segnali di emergenza - 2
I credenti sono sempre meno attenti alla crescita della chiesa e sempre più sensibili alla trasformazione del proprio ambiente vitale. L’evangelo non è per restare seduti sulle panche, ma per battere le strade. La domanda non è più “come posso far crescere la chiesa”, ma “come posso far crescere il regno di Dio”. L’obiettivo della missione è sempre meno chiamare le persone in chiesa, chiamare le persone a Cristo, e sempre più andare dalle persone, portare Cristo. L’intento evangelistico è sempre meno invitare le persone in chiesa e sempre più infiltrarsi nella società. L’evangelizzazione non è più uno dei programmi della chiesa accanto agli altri, ma è il senso stesso della chiesa che informa ogni sua attività (la chiesa è “missionale”). Gli stessi membri di chiesa dividono i loro contributi tra la chiesa e le altre agenzie di aiuto sociale e molte chiese preferiscono diminuire il contributo alla denominazione per finanziare progetti laici locali come testimonianza della loro presenza sul territorio. Molti vedono la pulizia asettica delle chiese in stridente contrasto con la sporcizia e il degrado delle periferie e una patente contraddizione con la capacità di Gesù di sporcarsi che emerge dai vangeli.
venerdì 27 novembre 2009
Segnali di emergenza - 1
Troppo spesso chi si converte, invece di trovare Cristo, finisce in una chiesa. Sempre più persone lasciano le comunità per preservare la loro fede; sentono che la chiesa non contribuisce più alla loro crescita spirituale, né rappresenta un conforto nei momenti difficili della vita. Si stima che il 5% dei cristiani a livello globale debbano essere considerati senza affiliazione, “post-congregational” nei termini della sociologia ecclesiastica statunitense e che questa percentuale raddoppierà entro quindici anni. I programmi e le attività delle chiese sono giudicati inadeguati ad incontrare la nuova richiesta di genuina vitalità spirituale. Chi si converte vuole trovare una esperienza trasformante (cioè vedere la propria vita trasformata, la propria città cambiata, il proprio contributo valorizzato, il proprio spirito curato, la propria competenza umana accresciuta, ecc.). L’appello cristiano è alla conversione a Cristo e le chiese devono mantenere questa promessa.
lunedì 9 novembre 2009
Caratteristiche ecclesiologiche emergenti (parte II)
La conoscenza e la riflessione teologica è maggiormente distribuita. Come nel cloud computing, la conoscenza non viene “salvata” centralmente sull’hard disk, ma on line, ed è disponibile a quanti vogliono accedervi. Questo significa che sta cambiando radicalmente il modo di relazionarsi alla “verità”. La conoscenza e l’esistenza teologica non risiedono esclusivamente nel mondo accademico, l’unico ad averne la chiave di accesso; ma la riflessione teologica diventa una esperienza condivisa (come avviene con Wikipedia). La chiesa è open source, chi è in grado di dare soluzioni praticabili e condivise ai problemi teologici che si affacciano riceve il riconoscimento dell’autorevolezza (come avviene con Google). Questa “conoscenza corporata” può avvenire solo se tutti sono connessi.
La guida delle comunità è dei “visionari”. Nelle chiese emergenti l’ambiente determina le decisioni. In questa situazione il ruolo della leadership è quella di aiutare la comunità a cambiare la percezione di una situazione. I leader non “annunciano” il cambiamento, ma provvedono le risorse per il cambiamento, in modo che questo dalla base arrivi al vertice. La leadership traccia linee, facilita la comunicazione con l’esterno, connette le persone, collega programmi e attività, e riceve il feedback per un nuovo circolo ermeneutico.
lunedì 2 novembre 2009
Caratteristiche ecclesiologiche emergenti (parte I)
· Le chiese diventano dei “sistemi aperti”. Si percepisce una maggiore apertura verso l’ambiente circostante e il contesto culturale. I confini tra “dentro” e “fuori” la chiesa o tra la vita comunitaria e la vita cittadina sono meno delineati. Questo porta maggiore possibilità di contaminazione e quindi di maggiore squilibrio, ma in generale le chiese sanno essere più sensibili verso quanto avviene nella società circostante e nella cultura, e quindi anche più reattive nel rispondere alle sollecitazioni e in definitiva con maggiore possibilità di incidere positivamente.
· Le chiese sembrano più adattabili. Per il motivo di cui sopra, il genio delle chiese emergenti è di essere molto radicate localmente. Chiese molto simili, anche nella stessa città, possono essere organizzate in modi molto diversi proprio per la loro apertura e capacità reattiva. Questo significa un alto grado di dipendenza della chiesa dal contesto culturale e sociale che la ospita e un alto grado di localismo (non di tipo tribale come lo conosciamo oggi, ma di tipo incarnazionale).
· Le chiese sono più pronte al cambiamento. Qui si vede il circolo virtuoso in cui sembrano inserite alcune chiese: sensibilità all’ambiente, adattabilità, cambiamento e infine capacità di incidere socialmente e culturalmente. Le chiese sono in grado di “imparare”. I piccoli miglioramenti nel ministero comunitario diventano esperienza e patrimonio “in rete”; non si riflette sui cambiamenti da apportare al livello denominazionale (“esperti” che vengono raccolti in “comitati” che producono “documenti” che le comunità “studiano” per poterli poi “applicare” nella propria realtà), ma ogni team pastorale ha la responsabilità, localmente, per il proprio ministero, di apportare tutti i miglioramenti necessari. Sono queste innovazioni di basso profilo che, sul lungo periodo, hanno prodotto, per il loro effetto cumulativo, cambiamenti radicali nella configurazione della chiesa e del suo ministero. Quindi:
o Capacità di ricevere, comprendere ed interpretare i segnali provenienti dall’ambiente
o Capacità di rispondere creativamente attraverso nuove caratteristiche organizzative
o Capacità di influenzare l’ambiente esterno in modo reattivo e creativo
lunedì 26 ottobre 2009
La missione cristiana nella società postmoderna (Mark Ord)
Fra il 5 e il 9 ottobre si è tenuto il primo Baptist Theological Colloquium of Rome presso i locali della chiesa Battista di Teatro Valle. L'iniziativa, promossa dall'UCEBI e la Lott Carey Mission Convention negli Stati Uniti, ha portato teologi e pastori nord-americani, canadesi e italiani insieme per una settimana di discussioni e confronto sul tema: “La Missione della Chiesa in una Società Secolarizzata”. Questi momenti di dialogo sono stati abbinati a visite a luoghi di importanza storica per le chiese cristiane, come ad esempio l'itinerario di San Paolo a Roma e ai Musei del Vaticano.
La discussione e riflessione sono state alimentate dalla presentazione di quattro relazioni. “La Missione Cristiana nella Cultura Postmoderna” presentata dal pastore Italo Benedetti, ha descritto le sfide che le chiese affrontano mentre la società cambia da una paradigma moderno a quello post-moderno. In questo spostamento culturale la gente affronta le questioni di conoscenza e autorità secondo criteri non più di logica e razionalità, ma di una pluralità di narrative ed esperienze. Italo Benedetti ha poi descritto una chiesa emergente, meno preoccupata di struttura e appartenenza e più interessata di questioni di formazione spirituale e umana e la missione di Dio nel mondo.
La professoressa Joyce Bellous della McMaster University in Ontario, Canada ha parlato sulla “Missione in una Età Spirituale”. È partita dalla convinzione che tutte le persone sono spirituali e ha affermato che le chiese, a livello di cura pastorale e missione, farebbero bene ad essere più attente alle diversità di stili o linguaggi spirituali che caratterizzano le persone. La dott. Bellous ha identificato quattro stili, come quelli centrati sulla parola, sull'emozione, sul simbolico e sull'azione e ha sviluppato una risorsa per evidenziare le varie espressioni di spiritualità, mirata ad aiutare le comunità a diventare più alfabetizzate nei vari linguaggi spirituali e quindi più in grado di affrontare e risolvere i conflitti.
Il dott. Douglas Summers ha descritto una gamma di problematiche etiche che si presentano oggi mentre i progressi scientifici e tecnologici e le nuove configurazioni di rapporti umani e le nuove espressioni di sessualità offrono nuove possibilità per la vita e allo stesso tempo sollevano nuovi dilemmi. Nella sua relazione “Etica: la Ricerca della Vita”, ha discusso la tensione tra aderire a principi solidi ed essere comunità che esprimono la compassione di Dio; concludendo che le chiese, nell'affrontare le questioni etiche, si rapportano con persone in situazione di sofferenza e che quindi la priorità delle chiese dovrebbe essere quella di manifestare l’aperta misericordia di Dio.
Il pastore Massimo Aprile nell'ultima relazione intitolata; “il Vangelo per la Nuova Generazione”, ha commentato l'impatto che le nuove tecnologie e i cambiamenti nel vissuto famigliare hanno sui giovani di oggi, notando che questi hanno spesso un percorso di vita più complesso rispetto alle generazioni precedenti. Ha descritto una gioventù caratterizzata da relativismo culturale, nichilismo, e la ricerca di identità in un contesto pluralistico in cui il sé viene sperimentato come frammentato piuttosto che come un centro unificato. Ha affermato il bisogno di stabilire relazioni con i giovani piuttosto che semplicemente tentare di offrire programmi; e la necessità di articolare la fede in una maniera che lasci spazio per le incertezze quando parla di impegni che coinvolgono tutta la vita.
Le differenze culturali e a volte teologiche, insieme alle sorprendenti somiglianze delle problematiche affrontate in contesti che variavano da Texas a Torino passando per la multi-culturalità di Toronto, la grintosa realtà urbana di Baltimora e una serie di contesti italiani, hanno contribuito ad una serie di discussioni vivaci e molto stimolanti. Molti pregiudizi sono stati abbattuti, amicizie costruite e un dialogo che ammetteva punti di vista a volte molto diversi e poi sorprendentemente molto simili. Ovviamente, nessuno dei problemi affrontati nelle relazioni e nelle discussioni è stato risolto; le tensioni e le problematiche delle società e delle chiese rappresentate non permettono di facili risoluzioni. Lo scambio di idee, di esperienze, di strategie e anche di indirizzi e-mail, però, significa che si affrontano in modo diverso, chissà se più creativo e con un po' più speranza ed energia.