sabato 11 aprile 2009

Un nuovo denominazionalismo?

Le denominazioni – così come sono oggi – sono ancora lo strumento adatto alle nuove sfide che le chiese hanno davanti? Io credo di no.

La grande domanda della società post-cristiana alla chiesa è: “con quale autorità?” E’ l’autorità della Chiesa? In questo essa ha già fallito gestendo il potere con autoritarismo. E’ l’autorità delle Scritture? In questo essa ha già fallito con gli atteggiamenti neo-fondamentalisti. E’ l’ortodossia dottrinale? In questo essa ha già fallito con l’incapacità di parlare alla società reale. La società occidentale post-cristiana vuole vedere segni di integrità, comunità e credenti la cui autorevolezza si renda evidente dalla congruità di fede e vita. Non c’è nessuna fiducia data al nome di una denominazione, alla sua storia, alla sua generica presa di posizione sociale. Ciò che conta sono le persone e le comunità.

In questa visione, le chiese tornano ad essere comunità del Regno, non nel senso che lo costruiscono, ma nel senso che lo vivono. Le chiese evangeliche del terzo millennio sono consapevoli di essere comunità distinte dal mondo, ma incarnate in esso attraverso un senso profondo della missione. Essere chiese missionarie non significa più sostenere le missioni, ma avere una missione, essere in missione.
In questa visione, i credenti non sono membri di chiesa, ma “cittadini del Regno” impegnati in prima persona nella missione della chiesa esattamente nel luogo dove sono.
In questa visione, i pastori non sono né parroci, né vescovi, ma apostoli. Apostolo significa che egli è il leader della comunità, che ha la visione della testimonianza della comunità, che organizza la chiesa, che prepara la leadership e i membri alla missione. L’apostolo ha l’autorevolezza del vangelo che predica.
In questa visione, la denominazione, nell'epoca di Internet, è piuttosto il network. La comunità delle comunità in missione. Ossia comunità apostoliche profondamente legate al territorio, autarchiche sul piano della testimonianza, interconnesse sulla base della conversazione teologica, della condivisione delle esperienze e della comunanza degli obiettivi. Questa è la forma extra-light di denominazionalismo che sembra profilarsi. Le chiese non si concepiscono più in base ai loro rapporti economici ed amministrativi o in base a una pretesa omogeneità teologica.

La denominazione diventa sempre più: 1) La comunione delle comunità in missione che agisce sul piano dell’incoraggiamento, dell’entusiasmo, dello scambio di idee e di visione. 2) La struttura di servizio alla missione delle chiese che agisce sul piano della formazione e del reperimento “nella rete” delle competenze utili per le comunità. 3) Il motore della transizione dall’attuale forma alla futura, perché non tutte le chiese si trovano allo stesso punto di acquisizione della nuova realtà. La politica denominazionale è di diventare il contesto della crescita delle chiese, l’humus nel quale ciò che si semina cresce.