lunedì 29 ottobre 2007

Lavorare dai margini

La chiesa opera all’interno di una cornice culturale, su questo abbiamo insistito più di una volta. Tre modelli hanno caratterizzato l’approccio della chiesa alla cultura: quello tradizionale, quello moderno e quello postmoderno. Nel modello tradizionale la chiesa si trovava al centro della società e della cultura; nel modello moderno la chiesa considerava se stessa come “compagna” della cultura e della società, ma essa stessa si considerava “altra” dalla cultura. Nel modello postmoderno la chiesa è una delle tessere che compongono la società e la cultura frammentata.

Il problema è che oggi, nella chiesa, tutti e tre questi modelli convivono (anche questo è un effetto della frammentarietà sociale e culturale). La chiesa tiene insieme persone che detengono mentalità diverse rispetto al ruolo della chiesa nella società e la tensione è palpabile.

Ma la chiesa non è più in grado di riguadagnare la sua posizione privilegiata nella società occidentale. Essa deve accettare di essere uno dei pezzi che compongono la società ed imparare a lavorare da questa posizione marginale, permeando e lanciando ponti verso le altre tessere del mosaico sociale. Ciò però richiede alla chiesa l’immersione in contesti culturali estranei, inconsueti e facilmente percepibili come ostili.

lunedì 15 ottobre 2007

Una impostazione missionaria

La chiesa non è immune dall’influenza della cultura in cui vive.
La chiesa non è al di sopra della cultura, ma intersecata con essa; possiamo anzi dire che anche la chiesa stessa è una cultura.

Le chiese evangeliche – soprattutto nell’area anglosassone – si sono rivolte alle strategie del marketing a causa di una insufficiente comprensione del loro mandato missionario. Esse hanno presupposto che l’incontro tra evangelo e cultura fosse una pura questione di audience e che adeguando messaggio, valori e emozioni al target sociale l’evangelo poteva diventare più penetrante. Il risultato non è stato però una società più cristiana, ma una chiesa sempre più assorbita e adeguata alla cultura dominante.

Le chiese cosiddette liberali hanno svenduto la loro identità alla cultura attraverso la capitolazione sentimentalista ad ogni tendenza sociale. Correndo dietro ad ogni nuovo ordine del giorno sociale di una agenda che non era la loro.
Le chiese cosiddette conservatrici si sono trincerate in una battaglia di retroguardia. Ribattendo ad ogni attacco contro i valori tradizionali come se quelli fossero identificati con l’evangelo.

La chiesa emergente tenta oggi di superare questo coinvolgimento della chiesa nella cultura dominante cercando di esprimere i valori del regno di Dio nella società contemporanea. Essi partono da due considerazioni:
L’evangelo giudica ogni cultura secondo la sua compatibilità con gli obiettivi, i valori e i fini del regno di Dio.
L’evangelo rivela anche fino a che punto la chiesa stessa si è accomodata alle aspirazioni della cultura dominante contrarie a quelle del regno di Dio.

La chiesa emergente vuole essere fedele alla parola di Dio e ad essa obbediente, informata con discernimento dalla tradizione della chiesa, ispirata dalla speranza del ritorno di Cristo, rilevante ma critica per il suo contesto.

lunedì 1 ottobre 2007

Pluralismo e radicalismi

Oggi viviamo nella società pluralista. Il pluralismo è il modello sociale adottato in Occidente per permettere alle società multiculturali odierne di vivere pacificamente.
Le diverse culture, anche a causa della modalità e della celerità con la quale sono venute a stretto contatto od obbligate alla convivenza, sono divenute ostili, potenzialmente antagoniste; spesso vivono in tensione tra loro, qualche volta la convivenza sfocia nel conflitto. Per raggiungere il suo obiettivo di convivenza pacifica, la società pluralista protegge un limitato numero di valori condivisi lasciando a ciascuna cultura la libertà di esprimere i propri.
Ciascuno vive con questi due insiemi di valori, quelli comuni e quelli specifici. In questa visione, dal punto di vista sociale il problema da risolvere è la convivenza pacifica di culture potenzialmente antagoniste, dal punto di vista delle singole culture il problema è di mantenere la propria identità di gruppo.

La neutralità verso le culture specifiche è il grande valore fondante della società pluralistica, ma questa neutralità, una volta accettata, spinge le culture specifiche alla conformità e alla conseguente perdita di identità.
La neutralità diventa un valore, inculcato dalla scuola e dai mass-media, che viene importato all’interno delle culture specifiche. Quando la specificità di una cultura non è accuratamente definita e vissuta dal gruppo stesso, rischia di venire risucchiata in pratiche che da un lato sono socialmente compatibili in virtù dell’omologazione al minimo comune denominatore sociale, ma che dall’altro contraddicono la cultura di appartenenza e alla fine la snaturano.

Forse l’esplodere del fenomeno fondamentalista, gli integrismi e i radicalismi, i “ritorni” e le “riscoperte”, i “movimenti”, che affliggono tutte religioni, sono una risposta alla paura di divenire insignificanti sul piano sociale o di scomparire su quello storico.

Ciò avviene quando anche i credenti interiorizzano il grande dogma laicista che la fede appartenga alla sfera della vita privata, approvando l’affrettato assioma che le religioni hanno un elevato potenziale di conflittualità. Ciò è del tutto superficiale, perché le fedi diventano nocive alla società non quando i loro membri rimangono fedeli ai propri principi, ma quando le loro istituzioni religiose cercano il controllo delle istituzioni sociali per modificarne, a loro vantaggio, l’orientamento pluralista.

Al contrario, una cultura ben definita, riesce ad assumere lealmente per sé i valori laici condivisi rimanendo nello stesso tempo una voce chiara e libera (noi diremmo profetica) nella società. Noi cristiani occidentali, volenti o nolenti, siamo già integrati nella società attraverso le istituzioni politiche, il lavoro e l’informazione; il nostro compito non è semplicemente quello di diluirci in essa, ma di diventarne la parte profetica.

Se la scelta di fedeltà al Signore non vuole significare semplicemente seguire la via dell’abbandono del mondo, l’altra strada praticabile è quella di assumersi il rischio di vivere in un mondo ormai ostile, traendo la propria forza dalla comunità alla quale si appartiene (ascesi intramondana).