giovedì 6 dicembre 2007

La leadership emergente

le chiese del nuovo paradigma hanno una leadership che riconosce la centralità del culto e dà risalto enfatizza l’incontro trasformante con il Dio vivente. I loro leader sono occupati a dare strumenti per la missione nel mondo al popolo di Dio. Sono impegnati ad identificare, formare e garantire sostegno alla pari e guida ad altri leader. Essi conferiscono facoltà ai leader emergenti e sono ambiziosi nelle loro aspettative. I leader delle chiese del nuovo paradigma sono accessibili e vulnerabili, e si sono guadagnati l’autorità che esercitano. Svolgono il loro ministero sul fronte, accanto alla loro gente. Sono consapevoli dei valori culturali e delle tendenze, e connettono l’evangelo alla comunità cittadina fuori delle mura della chiesa. Essi si sentono a loro agio sia con le persone che non appartengono ad alcuna chiesa, sia con quelli che le frequentano e sono capaci di guadagnare la loro confidenza e fiducia. In ultimo, essi sono certi della presenza del Signore con loro, nel compimento continuo della promessa al suo gruppo originale dei discepoli: «io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine dell’età presente». (Matteo 28:20)
[Tradotto da: Eddie Gibbs, Church Next, quantum Changes in How We Do Ministry, Inter Varsity Press, 2000]

giovedì 15 novembre 2007

Discepolato incarnato e autenticità comunitaria

Ricordate il film di François Truffaut Fahrenheit 451, tratto dall’omonimo romanzo di Ray Bradbury?
La storia è ambientata in un futuro immaginario nel quale leggere libri è considerato un reato. Per ostacolare questo "crimine" viene istituito un apposito corpo di vigili del fuoco che deve scovare e dare alle fiamme ogni tipo di libro. Il titolo, non a caso, fa riferimento alla temperatura a cui la carta brucia, 451 gradi Fahrenheit appunto.

Il paragone che mi interessa è nel finale del film (che in questo punto segue poco la trama originale del romanzo) dove il personaggio principale – un ex detective del corpo dei vigili del fuoco convertitosi alla lettura – insieme alla donna che lo introduce alla lettura, trova finalmente la città degli uomini-libro, dove ci sono uomini che imparano a memoria i libri per trasmetterli alle generazioni future.

Io credo che se i credenti vogliono avere un’influenza sulla società contemporanea, essi devono imparare delle “tecniche di sopravvivenza” e lasciarsi trasformare dal messaggio dell’evangelo per diventare essi stessi il messaggio che essi cercano di comunicare. Non dobbiamo dimenticare che il discepolato consiste nell’imitazione di Cristo (1 Tessalonicesi 1:6Voi siete divenuti imitatori nostri e del Signore, avendo ricevuto la parola in mezzo a molte sofferenze, con la gioia che dà lo Spirito Santo”).


Il discepolo è qualcuno che incarna il messaggio che proclama.

Le comunità cristiane devono diventare luoghi dove i membri imparano la coerenza della fede attraverso il discepolato di altri discepoli dove la conversione non è più un evento, ma il processo di una vita intera.

lunedì 29 ottobre 2007

Lavorare dai margini

La chiesa opera all’interno di una cornice culturale, su questo abbiamo insistito più di una volta. Tre modelli hanno caratterizzato l’approccio della chiesa alla cultura: quello tradizionale, quello moderno e quello postmoderno. Nel modello tradizionale la chiesa si trovava al centro della società e della cultura; nel modello moderno la chiesa considerava se stessa come “compagna” della cultura e della società, ma essa stessa si considerava “altra” dalla cultura. Nel modello postmoderno la chiesa è una delle tessere che compongono la società e la cultura frammentata.

Il problema è che oggi, nella chiesa, tutti e tre questi modelli convivono (anche questo è un effetto della frammentarietà sociale e culturale). La chiesa tiene insieme persone che detengono mentalità diverse rispetto al ruolo della chiesa nella società e la tensione è palpabile.

Ma la chiesa non è più in grado di riguadagnare la sua posizione privilegiata nella società occidentale. Essa deve accettare di essere uno dei pezzi che compongono la società ed imparare a lavorare da questa posizione marginale, permeando e lanciando ponti verso le altre tessere del mosaico sociale. Ciò però richiede alla chiesa l’immersione in contesti culturali estranei, inconsueti e facilmente percepibili come ostili.

lunedì 15 ottobre 2007

Una impostazione missionaria

La chiesa non è immune dall’influenza della cultura in cui vive.
La chiesa non è al di sopra della cultura, ma intersecata con essa; possiamo anzi dire che anche la chiesa stessa è una cultura.

Le chiese evangeliche – soprattutto nell’area anglosassone – si sono rivolte alle strategie del marketing a causa di una insufficiente comprensione del loro mandato missionario. Esse hanno presupposto che l’incontro tra evangelo e cultura fosse una pura questione di audience e che adeguando messaggio, valori e emozioni al target sociale l’evangelo poteva diventare più penetrante. Il risultato non è stato però una società più cristiana, ma una chiesa sempre più assorbita e adeguata alla cultura dominante.

Le chiese cosiddette liberali hanno svenduto la loro identità alla cultura attraverso la capitolazione sentimentalista ad ogni tendenza sociale. Correndo dietro ad ogni nuovo ordine del giorno sociale di una agenda che non era la loro.
Le chiese cosiddette conservatrici si sono trincerate in una battaglia di retroguardia. Ribattendo ad ogni attacco contro i valori tradizionali come se quelli fossero identificati con l’evangelo.

La chiesa emergente tenta oggi di superare questo coinvolgimento della chiesa nella cultura dominante cercando di esprimere i valori del regno di Dio nella società contemporanea. Essi partono da due considerazioni:
L’evangelo giudica ogni cultura secondo la sua compatibilità con gli obiettivi, i valori e i fini del regno di Dio.
L’evangelo rivela anche fino a che punto la chiesa stessa si è accomodata alle aspirazioni della cultura dominante contrarie a quelle del regno di Dio.

La chiesa emergente vuole essere fedele alla parola di Dio e ad essa obbediente, informata con discernimento dalla tradizione della chiesa, ispirata dalla speranza del ritorno di Cristo, rilevante ma critica per il suo contesto.

lunedì 1 ottobre 2007

Pluralismo e radicalismi

Oggi viviamo nella società pluralista. Il pluralismo è il modello sociale adottato in Occidente per permettere alle società multiculturali odierne di vivere pacificamente.
Le diverse culture, anche a causa della modalità e della celerità con la quale sono venute a stretto contatto od obbligate alla convivenza, sono divenute ostili, potenzialmente antagoniste; spesso vivono in tensione tra loro, qualche volta la convivenza sfocia nel conflitto. Per raggiungere il suo obiettivo di convivenza pacifica, la società pluralista protegge un limitato numero di valori condivisi lasciando a ciascuna cultura la libertà di esprimere i propri.
Ciascuno vive con questi due insiemi di valori, quelli comuni e quelli specifici. In questa visione, dal punto di vista sociale il problema da risolvere è la convivenza pacifica di culture potenzialmente antagoniste, dal punto di vista delle singole culture il problema è di mantenere la propria identità di gruppo.

La neutralità verso le culture specifiche è il grande valore fondante della società pluralistica, ma questa neutralità, una volta accettata, spinge le culture specifiche alla conformità e alla conseguente perdita di identità.
La neutralità diventa un valore, inculcato dalla scuola e dai mass-media, che viene importato all’interno delle culture specifiche. Quando la specificità di una cultura non è accuratamente definita e vissuta dal gruppo stesso, rischia di venire risucchiata in pratiche che da un lato sono socialmente compatibili in virtù dell’omologazione al minimo comune denominatore sociale, ma che dall’altro contraddicono la cultura di appartenenza e alla fine la snaturano.

Forse l’esplodere del fenomeno fondamentalista, gli integrismi e i radicalismi, i “ritorni” e le “riscoperte”, i “movimenti”, che affliggono tutte religioni, sono una risposta alla paura di divenire insignificanti sul piano sociale o di scomparire su quello storico.

Ciò avviene quando anche i credenti interiorizzano il grande dogma laicista che la fede appartenga alla sfera della vita privata, approvando l’affrettato assioma che le religioni hanno un elevato potenziale di conflittualità. Ciò è del tutto superficiale, perché le fedi diventano nocive alla società non quando i loro membri rimangono fedeli ai propri principi, ma quando le loro istituzioni religiose cercano il controllo delle istituzioni sociali per modificarne, a loro vantaggio, l’orientamento pluralista.

Al contrario, una cultura ben definita, riesce ad assumere lealmente per sé i valori laici condivisi rimanendo nello stesso tempo una voce chiara e libera (noi diremmo profetica) nella società. Noi cristiani occidentali, volenti o nolenti, siamo già integrati nella società attraverso le istituzioni politiche, il lavoro e l’informazione; il nostro compito non è semplicemente quello di diluirci in essa, ma di diventarne la parte profetica.

Se la scelta di fedeltà al Signore non vuole significare semplicemente seguire la via dell’abbandono del mondo, l’altra strada praticabile è quella di assumersi il rischio di vivere in un mondo ormai ostile, traendo la propria forza dalla comunità alla quale si appartiene (ascesi intramondana).

giovedì 27 settembre 2007

Il ministero della chiesa è modellato su quello di Gesù

Abbiamo già osservato come le chiese abbiano perso il loro ruolo sociale e come, in questo modo, la Chiesa cristiana somigli sempre di più alla Chiesa dei primi secoli, prima della cosiddetta “svolta costantiniana”, quando le caratteristiche di movimento erano preponderanti rispetto a quelle di istituzione.

Oggi è importante che la chiesa torni a considerare la propria presenza nel mondo non principalmente in termini istituzionali, ma fondamentalmente nei termini della koinonia. La Chiesa deve rivolgersi di nuovo al modello della chiesa antica. Quello che si intende con ciò non è un ingenuo “primitivismo”, un semplicistico ritorno ad una ipotetica età dell’oro della chiesa, ma si intende un consapevole ed attento ritorno alle fonti, consapevole criticamente e attento esegeticamente.

Nella società contemporanea, sempre più permeata dal pensiero postmoderno, le chiese votate al mantenimento dovranno trasformarsi in comunità missionarie, il che comporterà la decentralizzazione delle strutture. Il ministero pastorale dovrà facilitare questa transizione dando priorità ad un ministero svolto fuori dall’istituzione, valorizzando i credenti al rango di team pastorale allocato nel mondo. “Dalla strategia dell’invito le chiese devono muovere verso una dell’infiltrazione per essere la sovversiva e trasformante presenza di Gesù.” (Gibbs).

Per questo è essenziale modellare il ministero della chiesa su quello di Gesù stesso.

Quando il Nuovo Testamento parla di missione, non lo fa mai semplicemente nei termini di nuovi campi, nuove strategie e nuovi programmi, ma nei termini dell’incarnazione. La chiesa che vuole modellare il proprio ministero su quello di Gesù non è chiamata alla “ristrutturazione”, ma a un modo radicalmente nuovo (leggi: biblico) di essere chiesa.

Gesù rispose loro, dicendo: «L’ora è venuta, che il Figlio dell'uomo dev’essere glorificato. In verità, in verità vi dico che se il granello di frumento caduto in terra non muore, rimane solo; ma se muore, produce molto frutto. Chi ama la sua vita, la perde, e chi odia la sua vita in questo mondo, la conserverà in vita eterna. Se uno mi serve, mi segua; e là dove sono io, sarà anche il mio servitore; se uno mi serve, il Padre l'onorerà. (Gv.12:23-26)

Abbiate in voi lo stesso sentimento che è stato anche in Cristo Gesù, il quale, pur essendo in forma di Dio, non considerò l'essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente, ma spogliò sé stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini; trovato esteriormente come un uomo, umiliò sé stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce. (Fil.2:5-8)

Tutto questo allo scopo di conoscere Cristo, la potenza della sua risurrezione, la comunione delle sue sofferenze, divenendo conforme a lui nella sua morte, per giungere in qualche modo alla risurrezione dei morti. (Fil.3:10-11)

Questi testi mettono in chiaro che una presenza incarnata della chiesa implicano sofferenza e morte. La missione non è auto-promozione, né lotta per la sopravvivenza, né preoccupazione di sé, ma azione affinché Cristo venga glorificato.

martedì 18 settembre 2007

Che differenza c'è tra la "Chiesa emergente" e la "Chiesa guidata da propositi"?

Spero abbiate letto il noto libro di Rick Warren “The Purpose Driven Church” (La chiesa guidata da propositi) che peraltro ho trovato intelligente e stimolante. Warren e Bill Hybels (il fondatore della chiesa di Willow Creek) sono le punte di diamante del fenomeno delle cosiddette megachurch, “megachiese”.

Nonostante il successo – ripeto, per molti versi meritato – del libro anche in Italia, basta una lettura anche superficiale per capire che quello descritto è un modello non importabile in Italia. Infatti il successo di Warren e Hybels è il prodotto della convergenza di almeno due fattori favorevoli non riproducibili: una leadership di eccezionale valore e un contesto di crescita urbana. A questi fattori va aggiunto il dato che il contesto generale religioso-culturale statunitense è a maggioranza evangelico. Non è da dimenticare, infatti, che quelle chiese crescono soprattutto per spostamento di membri da una comunità all’altra: le chiese delle aree che si spopolano perdono membri, quelle delle aree che si sviluppano li acquistano. Anche se i due fattori si riproducessero in Italia, per esempio un dotato evangelizzatore in qualche area di sviluppo suburbano di una grande città, rimarrebbe comunque il problema della popolazione che è in genere culturalmente cattolica e che quindi non travasa automaticamente nella chiesa evangelica.

Queste chiese si definiscono seeker-friendly, cioè adatte a chi sta cercando (Dio).
Qui viene il secondo motivo della non esportabilità del modello. Non perché non esistano in Italia persone che cerchino Dio, non perché non sia lodevole indirizzare il messaggio della predicazione verso chi è in un atteggiamento di ricerca (come Nicodemo in Giovanni 3), ma perché sotto questo concetto si cela un modello evangelistico fondato sulla ricerca di mercato. Rick Warren, come egli stesso scrive, ha predeterminato chi sarebbe andato a vivere nell’area di espansione suburbana nella quale voleva aprire la sua chiesa ed ha modulato la sua missione di conseguenza. "Big Sam" è il membro di chiesa virtuale medio e Warren sapeva già tutto di lui.
Lungi da me fare ora una critica ideologica o teologica di ciò (ma lo vogliamo ammettere che qualche problema, in effetti, c’è?), però qui sorgono due problemi: primo, Big Sam non è Mario Rossi. Noi non possiamo presumere che ciò che cerca Big Sam sia la stessa cosa che sta cercando anche Mario Rossi, ossia le chiese italiane dovrebbero fare la loro ricerca su cosa pensa e cerca il membro di chiesa virtuale medio.
Secondo, la generazione successiva a Big Sam (dai trentacinquenni in giù) non frequenta più la chiesa di Rick Warren, ma quella di Dan Kimbal, che è, appunto, una chiesa emergente. Ossia, una ricerca di mercato mirata individua gusti e preferenze religiose ben limitate generazionalmente.

La chiesa emergente è diversa perché non rappresenta un modello evangelistico, ma si tratta di un modo di vivere la fede e la chiesa. Essa è contestuale per natura e post-cristiana, si rivolge cioè ad una società ormai totalmente scollegata dalla chiesa. Persino in Italia i veri cattolici sono solo l’8% della popolazione e quelli che in qualche modo vi fanno riferimento il 40%; in totale i cattolici in Italia sono il 48%, una maggioranza inferiore alla metà della popolazione. L’Italia (e l’Europa) è post-moderna da prima degli Stati Uniti e i problemi che là stanno affrontando oggi ci sono noti da almeno cinquant’anni. La chiesa emergente non è evangelistica, ma missionaria; si rivolge alla cultura corrente come ad una cultura non-più-cristiana.
In credente emergente non è uno in ricerca di spiritualità, ma uno che ha capito che cercare non basta, bisogna “nascere di nuovo” (come Nicodemo in Giovanni 3).

lunedì 10 settembre 2007

Chiesa emergente e cultura

La chiesa emergente, nella sua essenza, è la chiesa attenta alla cultura nella quale vive. Questa attenzione è duplice, da un lato è assunta come un dato di fatto inalienabile, dall’altro è osservata con la consapevolezza di quanto possa diventare oppressiva.

Gesù stesso non ha semplicemente rigettato la cultura a lui contemporanea, anzi, sappiamo quanto egli fosse figlio della sua cultura, un insider. Del resto sappiamo anche quanto fosse poco conformato a quella cultura. Gesù visse inserito in due culture: quella umana e quella del Regno.

Il credente emergente vive nella propria cultura consapevole dei suoi aspetti tossici e capace di immaginare e mettere in pratica stili di vita alternativi; e la comunità cristiana, che assume forme e strutture dalla cultura circostante, deve permettere a quel Regno che attende di porre la propria critica ad ogni raggiungimento umano (qualche volta le chiese tendono a creare delle sub-culture alienate sia dalla cultura, sia dal Regno). La chiesa, come Gesù, deve essere in grado di parlare alla propria generazione ed essere compresa e nello stesso tempo essere portatrice di una visione critica della cultura propria della predicazione del regno di Dio.

La comunità locale è una microsocietà capace di incidere sulla cultura circostante nella misura in cui è capace di vivere le esigenze del Regno. Per questo la comunità deve educare, formare, equipaggiare i propri membri a mettere in pratica l’Evangelo nella propria vita privata: come servire il prossimo, come perdonare, come amare i nemici, come aprire la propria casa, come vivere sobriamente, come consumare responsabilmente… La comunità forma e sostiene ciascun credente in uno stile di vita evangelico che sempre più spesso è sinonimo di alternativo.

La comunità locale è una microsocietà capace di riconciliazione. Gesù insegnò a non chiamare nessuno “nemico” se non Satana e ad abbandonare tutte le lealtà nazionalistiche raccogliendo insieme persone culturalmente estranee e nemiche. La chiesa riconcilia tutte le differenze di razza, età, genere e classe. La chiesa è impegnata in una positiva ricerca di accoglienza del diverso per imparare a vivere la riconciliazione abbandonando il sospetto, il pregiudizio e la preclusione.

La comunità locale è una microsocietà capace di solidarietà. La comunità emergente è maestra nelle discipline spirituali. Essa sa come vegliare sulla propria coerenza, come sostenere nella tentazione, come consolare nella difficoltà, come perdonare nell’errore. I credenti non sono abbandonati a se stessi, ma si sostengono reciprocamente.

Una chiesa fedele, invece di essere succube della cultura, può diventarne il più forte agente di cambiamento.

martedì 31 luglio 2007

Voci critiche

La chiesa emergente è una tendenza molto controversa del protestantesimo occidentale. Sin da quando ha acquistato una certa visibilità in Inghilterra e soprattutto negli Stati Uniti, essa ha suscitato preoccupazione e opposizione.

I critici della chiesa emergente provengono in larghissima parte dalle fila dell’evangelismo conservatore e neo-fondamentalista americano. Nonostante la grande varietà delle tendenze rappresentate dalla chiesa emergente, sono sorte alcune caratteristiche distintive comuni che hanno suscitato la perplessità di alcuni osservatori.

In particolare viene rilevato un tono retorico, polemico, ipercritico e poco costruttivo proprio nei confronti della tradizione, soprattutto evangelicale, dalla quale in gran parte queste comunità provengono.

Alcuni lamentano che la tendenza a de-costruire la tradizione evangelica e persino i testi biblici, risulta poi nella ri-costruzione di dottrine e posizioni morali inaccettabili.

Per molti osservatori più conservatori alcuni punti di vista su dottrine centrali quali la giustificazione per fede, l’espiazione tramite il sangue di Cristo e l’Inferno non sono pienamente ortodosse.

Altri contestano che la chiesa emergente nasconda un maggiore interesse verso le questioni politiche che verso quelle spirituali.

In ultimo, la spiritualità delle chiese emergenti, accogliendo elementi provenienti da varie tendenze non solo del cristianesimo, ma anche delle religioni orientali, viene ritenuta da alcuni critici sincretistica.

lunedì 30 luglio 2007

Post-evangelici

La vasta maggioranza dei credenti emergenti è di provenienza evangelica e mantiene una teologia evangelica.

Ma il movimento è post-evangelico in almeno due sensi:

In primo luogo perché la chiesa emergente tende ad essere sospettosa verso la teologia sistematica. Ciò ovviamente non significa affatto che non ci sia una riflessione sistematica sulla Scrittura e sulla fede, ma che la teologia sembra non essere in grado di trovare un consenso e di apportare sempre più diversità. La caratteristica della Rivelazione è di non essere “sistematica”, ma di presentarsi come una narrativa, una storia, perché nessun linguaggio è capace di cogliere pienamente la Verità di Dio.

In questo senso la grande tradizione della Chiesa universale offre maggiori possibilità di raccontare la verità di Dio, la redenzione in Cristo e l’opera dello Spirito Santo di quanto sia in grado di farlo un sistema teologico o una confessione di fede.

Per questo la chiesa emergente sostiene che la teologia rimane una “conversazione” sulla Verità che è Dio in Cristo Gesù per lo Spirito Santo. Nessuna teologia potrà mai avanzare la pretesa di avere un valore finale o definitivo. In ciò la chiesa emergente è profondamente riformata.

In secondo luogo il movimento è post-evangelico nel senso che contesta la mentalità del “chi è dentro” e “chi è fuori” tipica di molte chiese evangeliche. Anche per chi pensa che esiste una linea di demarcazione invalicabile tra cristiani e non cristiani, questo pensiero porta sofferenza ai credenti emergenti.

Naturalmente ciò non deve essere spinto fino ad inibire la spinta missionaria tipica del cristianesimo evangelico. “A meno che non si proclama la Buona Notizia di Gesù Cristo, non c’è alcuna buona notizia. E se non c’è Buona Notizia, allora non c’è cristianesimo, né emergente, né evangelico.” (Scot McKnight).

Possiamo essere umili in ciò che crediamo e accurati nel definire il reale impegno verso l’Evangelo, ma il fine della chiesa deve rimanere quello di chiamare tutti a seguire Gesù Cristo ed accogliere la sua opera redentiva sulla croce.

sabato 28 luglio 2007

Prassi

La caratteristica principale osservabile della Chiesa Emergente è il suo orientamento ad un cristianesimo pratico. Il motivo dell’emersione di questa tendenza nel cristianesimo occidentale è il bisogno di una fede vissuta.

Nella sua essenza la chiesa emergente è quindi una ecclesiologia, un modo di intendere la chiesa.

Tre aree della vita della chiesa emergente caratterizzano il modo di vivere la fede:

Il culto. Ciò che salta maggiormente agli occhi ad un livello più superficiale è la creatività, la sperimentazione, l’esperienzialità, la sensorialità, la partecipazione, il movimento.
La chiesa emergente da un lato recupera tutti quegli elementi del sacro e del rituale che le chiese evangeliche avevano abbandonato a favore del razionalismo; dall’altro ingloba tutti gli elementi tecnologici forniti dalla modernità.

Il credente emergente riflette molto teologicamente, esteticamente e antropologicamente su ciò che si fa quando la comunità si incontra. E’ il sermone il centro e il culmine del culto cristiano? La risposta è no, ne è solo uno degli elementi. Il pulpito ha così perso la posizione centrale di fronte alle panche e la sua posizione più alta. Non esiste più il palco, l’ambone con le persone autorizzate a stare lì e il resto della comunità nelle panche, tutto è fuori centro. L’uso dell’incenso può aiutare la preghiera, una illuminazione variabile può sottolineare gli atteggiamenti richiesti ad ogni fase del culto, l’arte può creare un ambiente che ricorda il sacro, il linguaggio del corpo può aiutare ad esprimere i propri stati d’animo e i gesti liturgici possono permettere un incontro più vivido con l’Incarnato.

L’ortoprassi. Il vivere correttamente è certamente l’aspetto centrale della vita del credente emergente e della comunità. Come una persona vive è più importante di ciò che crede. Molti aggiungono anche l’importanza dell’ortodossia, ma tutti contestano il fatto che dall’ortodossia possa scaturire l’ortoprassi; l’esperienza personale delle chiese dimostra loro il contrario.

Beninteso: nessuno afferma che la relazione con Dio dipenda da come uno vive, né che non faccia alcuna differenza quello che si crede su Gesù, ma il fatto è che la teologia evangelica ha eccessivamente concentrato tutto il discorso teologico sulla morte e resurrezione di Gesù, mentre la chiesa emergente tenta di riabilitare la seconda gamba del discorso teologico cristiano: il Gesù storico. Il motto della chiesa emergente è: “praticare la via di Gesù”.

La missione. Raramente un credente tradizionale potrà capire di primo acchito che cosa la chiesa emergente intenda per missione. Vanno tenuti in conto tre principi:

Primo. La missione è partecipare, con Dio, alla sua opera nel mondo. Dio ci ha dato il “ministero della riconciliazione” (2Cor.5:18).

Secondo. La missione è partecipare alla comunità dove avviene l’opera redentiva di Dio. La chiesa è la comunità attraverso la quale Dio opera e nella quale manifesta la credibilità dell’Evangelo.

Terzo. La missione è partecipare alla complessiva opera redentiva di Dio nel mondo. Essa riguarda non solo l’anima, ma tutta la persona umana, il creato e la società (Rom.8:18-27).

venerdì 27 luglio 2007

Un variegato fenomeno post-moderno

I cristiani emergenti credono che la chiesa abbia bisogno di cambiare ed essi hanno cominciato a vivere come se il cambiamento ci fosse già stato” (Scot McKnight). In questo i cristiani emergenti tendono ad essere profetici al meglio, provocatori al peggio, retorici e spesso esagerati. Affermato subito il "peccato originale" possiamo proseguire dicendo che la chiesa emergente sta apportando elementi vitali per il benessere di tutta la chiesa.

Come abbiamo avuto modo già di dire, il concetto di “chiesa emergente” vuole descrivere il rimodellamento di “come essere chiesa” in atto nella cultura post-moderna. Ciò avviene a partire dal variegato universo cristiano, specialmente evangelico, e il risultato è altrettanto variegato. Nella chiesa emergente vi sono post-evangelicali, post-liberali, post-riformati. L’elemento comune è quello di essere post-moderni.

La questione della cultura gioca un ruolo di primo piano.

Vivere come cristiani in un contesto post-moderno significa diverse cose a persone diverse. Alcuni vogliono evangelizzare ai post-moderni, altri con i post-moderni e altri ancora come post-moderni.

I primi vedono la cultura post-moderna intrisa di relativismo morale e incapace di comprendere alcunché della realtà del mondo. Le persone che vivono in questa cultura ne vanno salvate.

I secondi vogliono vivere con i post-moderni, lavorare, discutere con loro. Questi accettano la cultura post-moderna come un dato di fatto nel quale esprimere la missione cristiana.

La maggior parte dei cristiani e delle chiese emergenti ricade in queste due categorie. Questi non negano la verità, non negano Gesù come la Verità, non negano la Bibbia come verità.

I terzi suscitano tutte le preoccupazioni. Alcuni hanno deciso di svolgere il loro ministero e la loro missione cristiana come post-moderni. Accettandone i termini. Cioè: la verità assoluta non è conoscibile o, almeno, la verità non è conoscibile in modo assoluto. Essi affermano che la verità è condizionata dal contesto. Ogni affermazione dottrinale rischia di costruire una “immagine” di Dio e il nostro attaccamento ai sistemi dottrinali rischia di farci ricadere nell’idolatria del culto delle immagini.

giovedì 26 luglio 2007

In cosa è diversa la Chiesa Emergente?




La chiesa emergente è diversa nel modo di vivere la missione. Le chiese tradizionali, anche quelle più contemporanee nel culto, hanno un approccio all’evangelizzazione del tipo: “vieni da noi”.

La chiesa emergente ha l’approccio opposto: “io vengo da te” (o meglio: “io sono dove sei tu”). La chiesa non è un luogo, ma i credenti, quindi essa è in grado di prendere forme diverse, anche culturalmente diverse da quelle proprie tradizionali.

La chiesa emergente è diversa nel modo di vivere la chiesa. Il Church planting ha creato nuove chiese con uno stile comunitario più contemporaneo, attraendo membri dalle chiese più tradizionali e quindi sostanzialmente sottraendo membri ad altre chiese. Il numero delle vere conversioni per effetto del church planting è pressoché irrilevante. Senza contare l’altissima incidenza di fallimenti, le chiese che non crescono oltre i 50 membri, le depressioni dei pastori in ansia da prestazione, le difficoltà di reperimento di volontari per i numerosissimi programmi della chiesa.

La domanda fondamentale della chiesa emergente è: “qual è l’espressione di chiesa più appropriata per coloro che in chiesa NON ci vanno?” Accogliere l’Evangelo non corrisponde e non implica l’accettare la cultura che l’ha veicolata fin ora. La chiesa emergente usa i credenti e i piccoli gruppi come missionari per rivolgersi ai non credenti o a coloro che hanno rotto ogni rapporto con la chiesa.

La chiesa emergente è diversa nel modo di vivere i piccoli gruppi. L’organizzazione in cellule sembra essere il metodo migliore fin qui escogitato dalle chiese tradizionali per l’evangelizzazione. Esiste una grande varietà di modi di organizzare una cellula, ma la caratteristica comune è la loro forte dipendenza dalla chiesa che le ha espresse.

Nella chiesa emergente si può dire che la chiesa effettiva è la cellula, essa è l’elemento ecclesiologico primario. Nella cellula (che negli USA viene preferibilmente chiamata Cohort) viene offerto il culto, la cura pastorale comunitaria, è l’elemento propulsivo e centrale della missione, si impara a mettere in pratica ciò che si studia della Bibbia. Le cellule spesso hanno anche un incontro comune domenicale tradizionale, ma è chiaro che l’epicentro della vita comunitaria è il piccolo gruppo. La cellula è organizzata sul modello familiare.

La chiesa emergente è diversa nel modo di vivere il culto. Il culto è sempre stato un terreno di battaglia nelle chiese. Oggi più che mai. Alcune chiese ritornano alle forme di culto più tradizionali, ma la maggioranza ha accettato alcuni cambiamenti, soprattutto innologici. Le ragioni addotte sono teologiche o di metodo evangelistico, ma la ragione ultima è che le forme tradizionali di culto non si connettono più con la cultura delle persone a cui si rivolgono. I cambiamenti nel culto in senso più contemporaneo vanno capiti nel senso dell’apertura alle esigenze delle generazioni più giovani. Ma ciò non appare sufficiente.

Il culto della chiesa emergente è soprattutto sperimentale. La ripetitività è esattamente quello che non si trova più nella liturgia. Il culto emergente cerca sopra ogni cosa di essere autentico, contestuale e comunitario. Il linguaggio chiesastico è bandito, tutti gli elementi di spettacolo aboliti, molti degli atteggiamenti ritenuti corretti nelle chiese tradizionali (come il silenzio e persino l’attenzione a cosa sta avvenendo) spesso disattesi. L’atmosfera tende ad essere famigliare e “come in soggiorno”, con ampia presenza dei bambini. Gli elementi liturgici tendono a riprendere il loro spazio rispetto alla predicazione. Il culto emergente è “bi-focale” Parola e liturgia. Il culto emergente è multimediale, multisensoriale e utilizza l'arte.

mercoledì 25 luglio 2007

Che cos'è la Chiesa Emergente?

Il concetto di “Chiesa emergente” tenta di descrivere alcuni nuovi modi di vivere la fede e la chiesa che si sono osservati negli ultimi vent’anni nell’ambito del cristianesimo occidentale, soprattutto anglosassone. Non credo che il termine possa ancora descrivere un vero e proprio movimento, benché ultimamente vi siano più consapevolezza, intenzionalità, missione, usi condivisi, network, pubblicazioni, siti e persino una organizzazione: Emergent Village. Per sua natura la chiesa emergente non è organizzata nelle forme tradizionali denominazionali, ma ha assunto una forma “liquida”. Più che ad un movimento, siamo di fronte ad una tendenza.

L’intenzione, comunque, è quella di creare comunità dove la fede possa essere vissuta in modo più autentico che nei modelli ereditati dalla tradizione cristiana. Nel movimento si parla di una “fresca espressione della chiesa”.

L’esistenza di una chiesa emergente non implica che ve ne sia una “affondante”. Ma le forme tradizionali di organizzazione, culto e atteggiamento di fede, oggi raggiungono solamente un ben definito target: la persona di mezza età bianca di classe media con un gusto per la musica classica o leggera (soprattutto donna). Queste nuove forme di vita comunitaria cristiana attraggono maggiormente giovani (sotto i quarantacinque) di varie etnie che ascoltano la musica pop-rock (soprattutto uomini). Quindi mentre le forme tradizionali di chiesa fanno effettivamente ancora il loro dovere, man mano vengono però abbandonate dalle generazioni più giovani.

Quando un giovane cresce, normalmente non riesce più a connettersi con la chiesa adulta. La spiritualità in generale, e la fede in Gesù Cristo in particolare, hanno ancora una fortissima attrattiva su giovani, ma questi, in gran parte, sono alieni alle chiese. Il problema non è semplicemente generazionale, ma profondamente culturale. C’è bisogno di un nuovo modo di essere chiesa.

Il problema è che ciò che si fa la domenica non si connette con il resto della vita. Se questo è accettabile per la chiesa adulta, non lo è affatto per un giovane. Il desiderio maggiore è una vita comunitaria che non si limiti al culto e alla domenica, ma che coinvolga tutta la vita di una persona. Comunità, Culto e Missione devono creare lo spazio dove vivere la spiritualità.

Quali caratteristiche ha la chiesa emergente?
Il network conta più del quartiere. La gene comunica con internet, appartiene a community virtuali e si conosce visitando i blog. La chiesa di quartiere è irrilevante, rilevante è la gente che vi incontri.
La cellula è più significativa della chiesa. Lì si svolge, in amicizia, la vita quotidiana di fede. Essa non è un incontro a casa di qualcuno per uno studio, ma un gruppo che si incontra e si organizza per vivere la fede praticamente (arrivando anche a forme semi-monastiche).
I luoghi dove si lavora o si socializza sono più importanti di quelli dove si dorme. La missione riguarda principalmente questi luoghi. Non si invita la gente in chiesa, ma si va a cercarla dov’è e, soprattutto, dove sei quotidianamente anche tu: sia il posto di lavoro o il pub preferito.
Il culto è un evento multimediale e multisensoriale.

La chiesa emergente non è un metodo, è autenticità.

martedì 24 luglio 2007

Cambiamenti di paradigma

In seguito alla pubblicazione in italiano (postuma) del volume di David Bosch, La trasformazione della missione, Queriniana, abbiamo un po’ tutti preso dimestichezza con il concetto di “paradigma” che egli, assumendolo dal filosofo della scienza Thomas Kuhn, applica al presente momento storico della Chiesa.

Kuhn sostiene che la scienza non cresce per accumulazione, cioè in modo progressivo attraverso un continuo carico di conoscenze, ma procede per rivoluzioni, ossia attraverso alcuni individui che percepiscono l’inadeguatezza dei modelli scientifici esistenti a risolvere i problemi emergenti e quindi vengono a capo dei problemi modificando il modello scientifico a loro disposizione. Costoro percepiscono la realtà in modo qualitativamente diverso.

In verità, però, il modello scientifico – o paradigma – non nasce dalla scoperta individuale, ma piuttosto per un complesso di ragioni “emerge” tra gli studiosi finché il vecchio paradigma viene soffocato dalle sue stesse inadeguatezze e viene definitivamente abbandonato.

Nella storia millenaria della Chiesa si sarebbero succeduti tre paradigmi nella concezione del rapporto chiesa-mondo.
Il primo, quello apostolico (I-III sec.), è consistito nella lotta interiore per l’autocoscienza della chiesa come identica o diversa dalle sue radici giudaiche e della sua relazione con il mondo greco-romano nel quale si espandeva. In questo paradigma la chiesa si è organizzata in forti entità locali guidate dall’autorità spirituale di un vescovo e ha formato i suoi membri ad una estesa ed intensiva opera di evangelizzazione in un ambiente fortemente ostile. L’organizzazione comunitaria, i ruoli e i rapporti interni erano caratterizzati da una grandissima diversità e una estrema multiformità a secondo delle condizioni locali. Questa pluriformità era controbilanciata da un convinto sforzo di correlazione con altre realtà locali.

Il secondo paradigma, quello costantiniano della nascita della “cristianità”, è consistito nella svolta istituzionale di realizzare la propria missione attraverso lo status di religione ufficiale dell’Impero. La comunità diventa la diocesi, e nasce e si afferma la gerarchia. Essendo l’Impero cristiano, ogni suo cittadino è anche membro della Chiesa; la missione si allontana verso i paesi pagani e viene affidata ai professionisti. La Diocesi è caratterizzata dal reciproco sostegno delle istituzioni statali ed ecclesiastiche. Questo è il modello che è durato dal IV fino al XX sec. e che oggi sta crollando spinto dal paradigma emergente.

Il terzo paradigma è iniziato con la Riforma protestante, ma non si è ancora pienamente stabilito. Le caratteristiche che si vedono ormai distintamente evidenziano una crescente ostilità dell’ambiente verso la Chiesa alla quale essa risponde con la ripresa dello spirito missionario su base personale e locale. Le istituzioni si localizzano e sempre più il proprio ambiente viene considerato un campo missionario.

venerdì 20 luglio 2007

Parole chiave

Nel testo di benvenuto appare la missione di AEONnext. In esso si evidenziano alcune parole chiave che qui vorrei brevemente spiegare.

La parola “discepolo” appare nel vocabolario neotestamentario e il suo contenuto non può essere diverso da quanto gli è stato attribuito in due millenni di storia cristiana. Ma qui il suo uso vuole far riferimento ad una sensazione che si prova quando si è parte di una comunità: essere un “membro di chiesa”. Certo, anche questa parola dovrebbe evocare testi biblici dove la chiesa è paragonata ad un corpo e i credenti alle sue membra, ma la verità è che essere membro di chiesa ormai inesorabilmente comunica l’essere membro di un club, di una associazione, l’essere nella lista d’appartenenza a qualcosa. Mentre la parola discepolo evoca la vicinanza a Gesù, implica l’imparare da lui, sottolinea il processo, il divenire qualcosa. Senza voler rinunciare alla consapevolezza di essere membro del corpo di Cristo, vorremmo sottolineare il discepolato del credente.

La seconda è “amicizia generativa”, che è già un concetto più nuovo che vuole indicare il modo con cui vogliamo portare l’Evangelo al prossimo. Vogliamo che l’Evangelo si propaghi attraverso dei veri rapporti di amicizia, continuativi, duraturi, che implicano la relazione personale, la vicinanza, la solidarietà. L’evangelizzazione dei metodi, delle 4 leggi spirituali e del “mordi e fuggi” non è per un cristianesimo profondo. Vogliamo offrire una amicizia che generi, susciti nuovi discepoli e nuovo discepolato.

Anche “regno di Dio” non è certo un termine “nostro”, ma attraverso l’uso di questo concetto vogliamo dire che ciò che ci sta più a cuore non è la crescita della comunità, nemmeno della nostra, ma ci sta a cuore ciò che Dio stesso dice di avere più a cuore: il suo Regno. Il Regno di Dio è un concetto molto semplice anche per noi moderni nati sotto regimi democratici parlamentari e significa che nel mondo c’è un popolo che riconosce Dio come proprio Signore e Sovrano; a lui crede, a lui ubbidisce. Noi vogliamo essere questo popolo, noi vogliamo che questo popolo cresca.

Conversazione” non è un termine biblico, né teologico, ma preso dal linguaggio comune (ma vi consigliamo di leggere: Theodor Zeldin, La conversazione, Sellerio). La conversazione è più di un dialogo, coinvolge più voci e non implica il confronto dottrinale o il giudizio morale. Nella conversazione soprattutto ci si ascolta, ci si accoglie. I credenti sono impegnati in una conversazione sia con le varie teologie, sia con la cultura attuale nella quale vivono.

In ultimo la parola “emergente”. Molto è detto nella spiegazione del titolo del blog, ma ci preme sottolineare come la parola abbia a che fare tanto con l’emersione di qualcosa di presente, ma nascosta, quanto con l’emergenza. Siamo certi che molta gente vorrebbe essere cristiana, ma semplicemente non può, tenuta lontano da una chiesa che segue logiche teologicamente fondate, ma del tutto “interne” inaccettate perché non comprese. Questa chiesa "nascosta" esiste e sta emergendo. Emergente significa anche che a molti cristiani sono nate le "branchie" (Alessandro Baricco, i Barbari, Fandango libri). Questi credenti non saranno mai più culturalmente come quelli che li hanno preceduti.