giovedì 27 settembre 2007

Il ministero della chiesa è modellato su quello di Gesù

Abbiamo già osservato come le chiese abbiano perso il loro ruolo sociale e come, in questo modo, la Chiesa cristiana somigli sempre di più alla Chiesa dei primi secoli, prima della cosiddetta “svolta costantiniana”, quando le caratteristiche di movimento erano preponderanti rispetto a quelle di istituzione.

Oggi è importante che la chiesa torni a considerare la propria presenza nel mondo non principalmente in termini istituzionali, ma fondamentalmente nei termini della koinonia. La Chiesa deve rivolgersi di nuovo al modello della chiesa antica. Quello che si intende con ciò non è un ingenuo “primitivismo”, un semplicistico ritorno ad una ipotetica età dell’oro della chiesa, ma si intende un consapevole ed attento ritorno alle fonti, consapevole criticamente e attento esegeticamente.

Nella società contemporanea, sempre più permeata dal pensiero postmoderno, le chiese votate al mantenimento dovranno trasformarsi in comunità missionarie, il che comporterà la decentralizzazione delle strutture. Il ministero pastorale dovrà facilitare questa transizione dando priorità ad un ministero svolto fuori dall’istituzione, valorizzando i credenti al rango di team pastorale allocato nel mondo. “Dalla strategia dell’invito le chiese devono muovere verso una dell’infiltrazione per essere la sovversiva e trasformante presenza di Gesù.” (Gibbs).

Per questo è essenziale modellare il ministero della chiesa su quello di Gesù stesso.

Quando il Nuovo Testamento parla di missione, non lo fa mai semplicemente nei termini di nuovi campi, nuove strategie e nuovi programmi, ma nei termini dell’incarnazione. La chiesa che vuole modellare il proprio ministero su quello di Gesù non è chiamata alla “ristrutturazione”, ma a un modo radicalmente nuovo (leggi: biblico) di essere chiesa.

Gesù rispose loro, dicendo: «L’ora è venuta, che il Figlio dell'uomo dev’essere glorificato. In verità, in verità vi dico che se il granello di frumento caduto in terra non muore, rimane solo; ma se muore, produce molto frutto. Chi ama la sua vita, la perde, e chi odia la sua vita in questo mondo, la conserverà in vita eterna. Se uno mi serve, mi segua; e là dove sono io, sarà anche il mio servitore; se uno mi serve, il Padre l'onorerà. (Gv.12:23-26)

Abbiate in voi lo stesso sentimento che è stato anche in Cristo Gesù, il quale, pur essendo in forma di Dio, non considerò l'essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente, ma spogliò sé stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini; trovato esteriormente come un uomo, umiliò sé stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce. (Fil.2:5-8)

Tutto questo allo scopo di conoscere Cristo, la potenza della sua risurrezione, la comunione delle sue sofferenze, divenendo conforme a lui nella sua morte, per giungere in qualche modo alla risurrezione dei morti. (Fil.3:10-11)

Questi testi mettono in chiaro che una presenza incarnata della chiesa implicano sofferenza e morte. La missione non è auto-promozione, né lotta per la sopravvivenza, né preoccupazione di sé, ma azione affinché Cristo venga glorificato.

martedì 18 settembre 2007

Che differenza c'è tra la "Chiesa emergente" e la "Chiesa guidata da propositi"?

Spero abbiate letto il noto libro di Rick Warren “The Purpose Driven Church” (La chiesa guidata da propositi) che peraltro ho trovato intelligente e stimolante. Warren e Bill Hybels (il fondatore della chiesa di Willow Creek) sono le punte di diamante del fenomeno delle cosiddette megachurch, “megachiese”.

Nonostante il successo – ripeto, per molti versi meritato – del libro anche in Italia, basta una lettura anche superficiale per capire che quello descritto è un modello non importabile in Italia. Infatti il successo di Warren e Hybels è il prodotto della convergenza di almeno due fattori favorevoli non riproducibili: una leadership di eccezionale valore e un contesto di crescita urbana. A questi fattori va aggiunto il dato che il contesto generale religioso-culturale statunitense è a maggioranza evangelico. Non è da dimenticare, infatti, che quelle chiese crescono soprattutto per spostamento di membri da una comunità all’altra: le chiese delle aree che si spopolano perdono membri, quelle delle aree che si sviluppano li acquistano. Anche se i due fattori si riproducessero in Italia, per esempio un dotato evangelizzatore in qualche area di sviluppo suburbano di una grande città, rimarrebbe comunque il problema della popolazione che è in genere culturalmente cattolica e che quindi non travasa automaticamente nella chiesa evangelica.

Queste chiese si definiscono seeker-friendly, cioè adatte a chi sta cercando (Dio).
Qui viene il secondo motivo della non esportabilità del modello. Non perché non esistano in Italia persone che cerchino Dio, non perché non sia lodevole indirizzare il messaggio della predicazione verso chi è in un atteggiamento di ricerca (come Nicodemo in Giovanni 3), ma perché sotto questo concetto si cela un modello evangelistico fondato sulla ricerca di mercato. Rick Warren, come egli stesso scrive, ha predeterminato chi sarebbe andato a vivere nell’area di espansione suburbana nella quale voleva aprire la sua chiesa ed ha modulato la sua missione di conseguenza. "Big Sam" è il membro di chiesa virtuale medio e Warren sapeva già tutto di lui.
Lungi da me fare ora una critica ideologica o teologica di ciò (ma lo vogliamo ammettere che qualche problema, in effetti, c’è?), però qui sorgono due problemi: primo, Big Sam non è Mario Rossi. Noi non possiamo presumere che ciò che cerca Big Sam sia la stessa cosa che sta cercando anche Mario Rossi, ossia le chiese italiane dovrebbero fare la loro ricerca su cosa pensa e cerca il membro di chiesa virtuale medio.
Secondo, la generazione successiva a Big Sam (dai trentacinquenni in giù) non frequenta più la chiesa di Rick Warren, ma quella di Dan Kimbal, che è, appunto, una chiesa emergente. Ossia, una ricerca di mercato mirata individua gusti e preferenze religiose ben limitate generazionalmente.

La chiesa emergente è diversa perché non rappresenta un modello evangelistico, ma si tratta di un modo di vivere la fede e la chiesa. Essa è contestuale per natura e post-cristiana, si rivolge cioè ad una società ormai totalmente scollegata dalla chiesa. Persino in Italia i veri cattolici sono solo l’8% della popolazione e quelli che in qualche modo vi fanno riferimento il 40%; in totale i cattolici in Italia sono il 48%, una maggioranza inferiore alla metà della popolazione. L’Italia (e l’Europa) è post-moderna da prima degli Stati Uniti e i problemi che là stanno affrontando oggi ci sono noti da almeno cinquant’anni. La chiesa emergente non è evangelistica, ma missionaria; si rivolge alla cultura corrente come ad una cultura non-più-cristiana.
In credente emergente non è uno in ricerca di spiritualità, ma uno che ha capito che cercare non basta, bisogna “nascere di nuovo” (come Nicodemo in Giovanni 3).

lunedì 10 settembre 2007

Chiesa emergente e cultura

La chiesa emergente, nella sua essenza, è la chiesa attenta alla cultura nella quale vive. Questa attenzione è duplice, da un lato è assunta come un dato di fatto inalienabile, dall’altro è osservata con la consapevolezza di quanto possa diventare oppressiva.

Gesù stesso non ha semplicemente rigettato la cultura a lui contemporanea, anzi, sappiamo quanto egli fosse figlio della sua cultura, un insider. Del resto sappiamo anche quanto fosse poco conformato a quella cultura. Gesù visse inserito in due culture: quella umana e quella del Regno.

Il credente emergente vive nella propria cultura consapevole dei suoi aspetti tossici e capace di immaginare e mettere in pratica stili di vita alternativi; e la comunità cristiana, che assume forme e strutture dalla cultura circostante, deve permettere a quel Regno che attende di porre la propria critica ad ogni raggiungimento umano (qualche volta le chiese tendono a creare delle sub-culture alienate sia dalla cultura, sia dal Regno). La chiesa, come Gesù, deve essere in grado di parlare alla propria generazione ed essere compresa e nello stesso tempo essere portatrice di una visione critica della cultura propria della predicazione del regno di Dio.

La comunità locale è una microsocietà capace di incidere sulla cultura circostante nella misura in cui è capace di vivere le esigenze del Regno. Per questo la comunità deve educare, formare, equipaggiare i propri membri a mettere in pratica l’Evangelo nella propria vita privata: come servire il prossimo, come perdonare, come amare i nemici, come aprire la propria casa, come vivere sobriamente, come consumare responsabilmente… La comunità forma e sostiene ciascun credente in uno stile di vita evangelico che sempre più spesso è sinonimo di alternativo.

La comunità locale è una microsocietà capace di riconciliazione. Gesù insegnò a non chiamare nessuno “nemico” se non Satana e ad abbandonare tutte le lealtà nazionalistiche raccogliendo insieme persone culturalmente estranee e nemiche. La chiesa riconcilia tutte le differenze di razza, età, genere e classe. La chiesa è impegnata in una positiva ricerca di accoglienza del diverso per imparare a vivere la riconciliazione abbandonando il sospetto, il pregiudizio e la preclusione.

La comunità locale è una microsocietà capace di solidarietà. La comunità emergente è maestra nelle discipline spirituali. Essa sa come vegliare sulla propria coerenza, come sostenere nella tentazione, come consolare nella difficoltà, come perdonare nell’errore. I credenti non sono abbandonati a se stessi, ma si sostengono reciprocamente.

Una chiesa fedele, invece di essere succube della cultura, può diventarne il più forte agente di cambiamento.