giovedì 29 gennaio 2009

Fondamentalisti e liberali, la differenza che NON c'è

Oggi, in seno al cristianesimo, ci sono due modi di pensare la fede che sono contrapposti ed antagonisti, spesso con scarsissimo amore cristiano: quello fondamentalista e quello liberale. Nessuno dei due si riconosce nell’etichetta che gli viene affibbiata dall’altro, ma siccome non si ascoltano, non cambiano. I due gruppi hanno una immagine stereotipata dell’altro e molto di ciò che si dicono viene più dallo spirito di giudizio che da quello di verità. Entrambi pensano di essere inesorabilmente distanti dagli altri, ma ciò non è completamente vero.

I fondamentalisti sono ossessionati dal problema della salvezza e, secondo loro, tutto si risolve “nell’accettare Gesù”. Questa frase significa che tu devi credere e dire che Gesù è morto sulla croce per il tuo peccato e che è risorto per la tua salvezza. Questa affermazione, detta con sincerità, ti salva. Nessun atto di ubbidienza è veramente necessario, neppure il primo e più ovvio: il battesimo. L’ubbidienza è importante, buona e richiesta, ma non è necessaria alla salvezza. La Bibbia infatti afferma che noi siamo salvati per grazia mediante la fede e non per merito mediante le opere.

Perché questo discorso, impeccabile dal punto di vista biblico, ci suona strano? Perché, come leggevo in un libro, Dio viene concepito come un lettore di codici a barre, di quelli che fanno “biip” quando leggono l’etichetta del prodotto e lo mettono in conto. Il lettore di codici a barre non si interessa di che cosa c’è nella confezione, gli importa solo di mettere in conto il prodotto. Se metti il codice a barre delle mele sulla busta delle pere, ti metterà in conto le mele anche se porti a casa le pere. Possibile che Dio si preoccupi solo di metterci in conto la sua giustizia appena pronunciamo la confessione della fede senza interessarsi del fatto che diventiamo discepoli? Il discorso sembra strano perché ci pare offenda l’intelligenza di Dio.

I liberali sono invece ossessionati dalla giustizia sociale e, secondo loro, il cristianesimo consiste nel lottare per la giustizia. Lottare per la giustizia significa essere dalla parte dei minimi e dei diseredati del mondo, difendere l’integrità del Creato e operare per la pace. Questa lotta non solo rappresenta una ubbidienza radicale e redentiva a Dio, ma incarna la natura più inerente di Dio: l’amore. Ogni altro aspetto della vita di fede è relativo e secondario perché Dio è amore.

Non vi sembra che a questo discorso manchi qualcosa? L’impressione viene dal fatto che in questo discorso manca la relazione con Dio. Dio da questo discorso è assente o, più precisamente, è alla sua origine, ne è solamente il principio. Ciò che rimane alla persona di fede è il suo impegno nel mondo. La fede corrisponde all’impegno sociale, la fede è l’impegno sociale. Possibile che Dio ci chieda esclusivamente di lottare per la giustizia, come può fare qualunque persona di buona volontà, senza chiederci di diventare suoi discepoli? Il discorso ci pare strano perché estromette Dio dalla sua relazione con il mondo.

Fondamentalisti e liberali hanno una radice comune, e questa radice è la fede staccata dalla vita. Nessuno dei due chiede al credente una vita di discepolato, la ritengono non strettamente necessaria: gli uni per la salvezza, gli altri per la lotta per la giustizia. Ma nella Bibbia è importante la salvezza ed è importante la lotta per la giustizia, la pace e il creato; però queste sono conseguenze di una cosa molto più importante, il nostro essere discepoli di Gesù. E’ diventare cittadini del Regno di Dio che veramente conta, questo salva noi e libera il mondo!

giovedì 22 gennaio 2009

Marco 1:15 - Una vita di qualità eterna

Il motivo della fede cristiana e di tutto ciò che comporta sta nella predicazione di Gesù: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; ravvedetevi e credete al vangelo». Il regno di Dio è vicino, ecco a che serve la fede cristiana.

Il Regno di Dio è un concetto “escatologico”. Escatologico significa semplicemente che riguarda il piano eterno di Dio e non solamente il piano storico umano. Il piano umano è all’interno del piano di Dio, il piano storico è dentro il piano eterno. Quello che succede “in cielo” ha un riflesso “sulla terra” e di conseguenza tutto quello che accade nel mondo non è altro che un effetto di ciò che accade in cielo.
C’è una storia di Dio che precede la storia umana e molti versetti ci fanno capire che Dio è all’opera da prima della storia umana e che il compimento della sua opera avverrà dopo la storia umana. Quindi c’è una storia di Dio che è più ampia di quella umana che vediamo qui.

Nella Bibbia c’è un grande movimento che parte da Dio, coinvolge la storia degli uomini e delle donne e ritorna a Dio. Un po’ come nel profeta Isaia dove la Parola di Dio viene mandata nel mondo e non ritorna a Dio prima che non abbia compiuto il proposito per il quale era stata mandata. O come nel prologo di Giovanni dove Cristo, il Verbo di Dio, procede dal Padre, viene nel mondo incarnandosi nel Figlio e torna al Padre. Questo movimento trova il suo compimento in Cristo. Cristo è all’origine del piano di Dio («prima della creazione del mondo Dio ci ha scelti per mezzo di Cristo»), Cristo è al centro del piano di Dio («perché Cristo è morto per noi») e Cristo è al compimento del piano di Dio («Dio... riunisce tutte le cose... sotto un unico capo, Cristo»).

Ciò che si vuole sottolineare qui è che il piano di Dio non può essere messo in crisi, non corre alcun pericolo di essere contrastato, sovrastato o vinto. La salvezza non dipende dalle circostanze contingenti, storiche o temporali, ma dallo stabile amore di Dio. Tutto è già nelle mani di Dio. Non c’è nessuna catastrofe naturale, non c’è nessun fallimento della storia, non c’è nessuna infedeltà umana che potranno mai mettere in crisi la volontà salvifica di Dio. Questo è il fondamento della certezza della nostra fede.

Con questa premessa escatologica, la questione del regno di Dio è più chiara, perché reinserita nel suo contesto. Quindi, che cos’è il regno di Dio?
Potremmo dire che il Regno è l’effettivo raggio d’azione della volontà di Dio, l’ambito nel quale ciò che egli vuole viene effettivamente fatto. Esso quindi non è tanto un luogo (come la Gran Bretagna è il Regno Unito), piuttosto è l’estensione del potere effettivo del re (come gli Inglesi sono sudditi di Sua Maestà la Regina d’Inghilterra), nel senso che sono tenuti ad osservare le leggi di quel regno. Il Regno di Dio è la sfera di influenza di Dio nel mondo, è il popolo di coloro che egli si è acquistati, di quelli che lo riconoscono come loro Signore e che fanno la sua volontà. Quindi, sono parte del Regno di Dio tutti quelli che seguono la sua legge, che vivono secondo la sua volontà. In questo senso, il Regno è già presente nel mondo e lo si può raggiungere. Il senso della predicazione del Regno sta proprio qui: il regno di Dio è vicino, cioè c’è una nuova accessibilità a questo regno attraverso Gesù Cristo.
Il regno di Dio non è qualcosa di essenzialmente sociale o politico, anzi, proprio l’ambito sociale e politico, insieme all’ambito del cuore dell’uomo, sono gli unici luoghi della creazione dove al Regno e alla volontà di Dio è permesso di essere assenti. L’ambito sociale e politico sono proprio quel “in terra” dove chiediamo che la sua volontà sia fatta, che nel Padre nostro è contrapposto a “in cielo” dove la sua volontà è semplicemente fatta da sempre. Allo stesso modo, al contrario di quello che si può intendere ad una lettura superficiale del NT, il Regno non è qualcosa che è fondamentalmente e primariamente nel cuore dell’uomo, come se fosse qualcosa di puramente interiore che non riguarda la creazione e la storia umana; il regno di Dio deve prendere controllo dei cuori umani e dell’ambito sociale e politico.

L’affermazione contenuta nell’annuncio del Regno da parte di Gesù è: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; ravvedetevi e credete al vangelo». Ciò significa che la nostra vita acquista già ora una qualità eterna. Il regno di Dio e la qualità della vita che comporta è ora accessibile grazie a Gesù Cristo che ha posto questo seme inestirpabile nel mondo. Dio ci concede ora una caparra del suo Regno. Questo significa che “il Regno è vicino”.

Quindi, cari fratelli e sorelle, all’interno del regno di Dio così inteso, cioè nell’ambito dove la signoria di Dio è riconosciuta e rispettata e la sua volontà conosciuta e fatta, è disponibile un tipo di vita che ha già la qualità della vita eterna.
L’ubbidienza è così la dimostrazione della nostra scelta di campo. L’ubbidienza non va considerata solamente dal punto di vista dei nostri sforzi e delle nostre rinunce, ma anche dal punto di vista del Regno. Ciò in due sensi:
Nel senso che l’ubbidienza è il nostro vivere già secondo le regole del regno di Dio, e quindi è una anticipazione della vita eterna
Nel senso che nel regno, le nostre opere diventano parte della storia eterna di Dio, del piano di salvezza di Dio. Noi siamo parte della “cospirazione divina”.
In una frase: noi siamo i portatori del Regno vicino di Dio.

lunedì 12 gennaio 2009

Galati 5:1 - La gloriosa libertà dei figli di Dio

La libertà è importante perché essa ci definisce, determina ogni aspetto della vita.
Due atteggiamenti cristiani mi spaventano, uno è quello molto tipico nelle nostre chiese evangeliche storiche: “io sono libero, quindi posso fare quello che voglio nella vita e nella chiesa. Gli altri possono plaudere se sono d’accordo, ma se non lo sono, devono rispettare la mia libertà.” Secondo costoro i non credenti devono capire che la libertà cristiana è esattamente il comportarsi secondo gli standard più bassi del mondo; e i credenti devono mandare giù qualsiasi schifezza perché si tratta della libertà cristiana.

Il secondo atteggiamento spaventoso è quello più tipico nelle chiese evangeliche conservatrici: “io sono libero in Cristo, però non so vivere in questa libertà e ho paura di sbagliare. Ho paura dei miei desideri più profondi, dubito perciò della mia conversione; ho paura della disciplina della chiesa, quindi tengo nascoste alcune mie “cosette”; sono incerto nelle scelte, ho quindi bisogno delle regole; vorrei concedermi di più, ma è peccato.” Secondo costoro i credenti, per vivere coerentemente, devono sentirsi osservati e i non credenti devono imparare la subordinazione.
Siamo stretti tra l’arroganza dei primi e l’ansia dei secondi.
Il discorso sulla libertà deve quindi essere in cima alle nostre priorità perché l’incontro con Dio porta sempre con sé una liberazione e non può e non deve creare questi mostri (anzi, l’incontro con Dio è esattamente l’evento della liberazione), quindi: 1) noi dobbiamo essere persone libere e questa libertà si deve vedere; 2) la libertà deve essere l’effetto della nostra missione, ne devono perciò uscire persone libere; e 3) il vivere nella libertà deve essere il nostro compito comunitario, la comunità cristiana è la comunità libera delle persone libere.

Parlare di libertà è estremamente difficile. E’ difficile dire qualcosa di intelligente su un argomento che ha impegnato le migliori menti di tutta la storia in tutto il mondo le cui riflessioni riempiono migliaia di scaffali nelle biblioteche. Però vorrei fare una brevissima considerazione sul piano biblico che a mio avviso ci potrebbe essere molto utile.
In che cosa consiste la libertà?
Molte possono essere le risposte, ma la risposta biblica è che la libertà consiste nella liberazione dalla disperazione.
Sapete perché? Perché – questo lo sappiamo tutti – nella vita qualunque cosa può impedirci di realizzare ciò che vogliamo, anche le cose più naturali e buone. Non siamo veramente liberi perché non possiamo realizzare ciò che vogliamo. Sono davvero libero se non sono in grado di realizzare la mia vita? Quanto sono importanti i miei obiettivi nella realizzazione della mia vita? Quando posso dire di aver realizzato la mia vita? La libertà è liberazione da questo tipo di disperazione. In questo senso la libertà è la stessa cosa che la speranza e anzi, la liberazione dell’incontro con Cristo consiste proprio nell’immissione della speranza cristiana nel circolo della vita. La libertà è quindi fondamentalmente un dono, essa non può venire da noi stessi, non la possiamo conquistare e non la possiamo costruire. Deve venire da fuori di noi.
Ora voi capite quanto questa questione della libertà sia importante per la felicità della gente. Per la nostra felicità e per quella di coloro che vogliamo raggiungere, in amicizia, con il messaggio dell’Evangelo. La libertà è un aspetto fondamentale della nostra testimonianza.

Il NT parla della libertà rispondendo a due equivoci:
Il primo equivoco è definito da questa fase: «Noi siamo già liberi». Questo argomento si trova nel vangelo di Giovanni: «Gesù allora disse a quei Giudei che avevano creduto in lui: «Se perseverate nella mia parola, siete veramente miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi». Essi gli risposero: «Noi siamo discendenti d'Abraamo, e non siamo mai stati schiavi di nessuno; come puoi tu dire: "Voi diverrete liberi"?» Quindi, alcuni Giudei che hanno creduto obiettano a Gesù – che dice loro che sarà la verità a renderli liberi – che in verità loro, in quanto figli di Abramo, non sono mai stati schiavi di nessuno e che quindi sono sempre stati liberi. Gesù risponde così a questa obiezione: «Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete veramente liberi.» (8:36) come per dire: “non è la vostra origine in Abramo che vi rende liberi, ma la vostra fede in me”.
Io chiamerei l’atteggiamento di quelli che dicono «Noi siamo già liberi» il voler disperatamente essere se stessi. E’ un discorso molto comune: “la mia origine e il mio destino sono in me stesso”. Dov’è che trovo la mia identità? In me stesso! Nelle mie origini e nel mio destino ultimo. Quindi nel mio rimanere legato a me stesso, al mio popolo, alle mie tradizioni. Io sono veramente libero se mi comporto secondo la mia natura. Realizzo me stesso quando raggiungo ciò che sono.
A questo Gesù risponde così: “Voi sarete liberi quando vi farete liberare da me”.
1. La vera libertà può venire solo da una nuova nascita. La vera libertà consiste nel riconoscere la propria origine in Dio e il proprio destino nella vita eterna, che nel NT viene chiamato “nascere di nuovo”: «Non ti meravigliare se ti ho detto: “Bisogna che nasciate di nuovo”. Il vento soffia dove vuole, e tu ne odi il rumore, ma non sai né da dove viene né dove va; così è di chiunque è nato dallo Spirito». Rinascere con una nuova origine e un nuovo destino. Tutti noi conosciamo la nostra origine e il nostro destino: la nostra origine sono i nostri genitori e il nostro destino è la morte, ma la libertà che è propria dello Spirito si riscontra solo in chi è nato dallo Spirito. Diversa origine + diverso destino = libertà (La tua attuale origine e il tuo attuale destino non ti rendono e non ti possono rendere libero).
2. La libertà è un effetto della verità. La libertà è la risultante di una concatenazione di conseguenze. Chi crede in Cristo e dimora nella sua parola conosce la verità e a chi conosce la verità, la verità lo renderà libero. La verità che ha in testa il NT, però, non è un concetto, una idea o un fatto indiscutibile, ma è Gesù stesso: «Io sono la via, la verità e la vita.» Voi sarete liberi quando crederete a Gesù come la verità di Dio; e ciò che la verità impersonificata in Gesù compirà sulla croce vi farà liberi. Non si tratta della discendenza di Abramo, ma della verità di Gesù.
3. La libertà è libertà dal giudizio. Se voi pensate di essere liberi perché siete discendenti di Abramo, cioè anche senza o prima della verità di Gesù, siete degli increduli; anzi, vi vaccinate contro Gesù (bravo questo Gesù, le cose che dice sono belle e profonde e io le condivido!) e perciò siete impossibilitati ad accogliere il dono di Dio che è in Cristo. Che cos’è questa impossibilità di credere in Gesù se non un giudizio (le porte della salvezza rimangono inesorabilmente chiuse e la vostra vita rimane inesorabilmente nelle vostre mani): vediamo cosa sei capace di fare da solo! Voi siete sotto un giudizio divino che riguarda non la vostra moralità, ma riguarda a chi avete affidato la vostra vita.
4. La libertà è libertà dalla morte. La morte è il limite più ovvio della libertà umana, tanto ovvio da non essere spesso considerata. La Bibbia chiama “vita eterna” quella vita che ha la caratteristica della libertà per eccellenza, libera dal destino di tutti, cioè la vita libera dalla morte. Se voi avete in voi stessi questa fiducia in Dio la vostra vita cambierà di qualità.
Insomma, il discorso di Gesù è che chi fonda la sua vita su se stesso è destinato alla disperazione. Costui pensa di poter vivere liberamente, ma non può liberarsi dei propri limiti e quella che sperimenta non è la libertà, ma la schiavitù a se stesso. E’ libero invece chi è nato di nuovo, è libero chi conosce la verità, è libero chi non è giudicato da nessuno, è libero chi sa di avere la vita eterna. In una parola: è libero chi crede in Gesù.

Il secondo equivoco è definito da questa fase: «Noi non siamo ancora liberi». Questo argomento si trova nella lettera ai Galati, dove l’apostolo Paolo è costretto ad ammonire i credenti: «non vi lasciate porre di nuovo sotto il giogo della schiavitù.» Il problema è sostanzialmente quello della circoncisione. Alcuni cristiani di origine ebraica pretendono che i cristiani di origine pagana vengano circoncisi. Essere circoncisi ha due significati: primo, i cristiani devono continuare ad essere sottoposti alla Legge dell’AT; secondo, i cristiani devono far parte del popolo d’Israele. Per Paolo credere questo è equivalente a dire che la morte e la resurrezione di Cristo non hanno avuto alcun significato, perciò risponde: «Cristo ci ha liberati perché fossimo liberi», come per dire: “Cristo ci ha liberati per farci vivere da persone libere, se noi ci andiamo a cercare nuove schiavitù Cristo non ti servirà a nulla”.
Io chiamerei l’atteggiamento di questi che dicono: «Noi non siamo ancora liberi» il non voler disperatamente essere se stessi. Dobbiamo seguire una legge, dobbiamo appartenere a qualcosa! Hanno paura della libertà, essa è per loro una condizione instabile, insicura, che crea incertezza, potenzialmente pericolosa. Per questo hanno bisogno di ritornare subito alle regole, alle spiegazioni letterali, alle interpretazioni autentiche, alle appartenenze, ai luoghi comuni.
Noi potremmo descrivere la risposta dell’apostolo Paolo a questa paura della libertà con questa frase: “Voi appartenete alla libertà”. L’idea di Paolo infatti è che la libertà di Cristo avviene allo stesso modo del passaggio di uno schiavo da un proprietario all’altro. Prima eri schiavo del peccato, ora di Gesù; prima eri schiavo di te stesso, ora sei schiavo della giustizia; prima dovevi offrire le tue membra al peccato, ora le devi offrire alla giustizia; prima portavi un frutto di cui oggi ti vergogni, ora porti il frutto della santificazione; prima eri destinato alla morte, ora sei destinato alla vita.

La libertà quindi è una possibilità che ha portato Gesù Cristo, possibilità concepita da Dio prima di tutti i tempi e realizzata in Cristo Gesù. “Tu sei stato acquistato, sei di Cristo e quindi sei perfettamente libero”. Quello che devi fare è vivere questa tua libertà, senza remore, senza paure, senza ansie.
La libertà è un effetto della fede e questa consiste in una vita vissuta nella fiducia di Dio. Questa fiducia toglie la disperazione dell’incertezza della vita che ti spinge a non voler essere te stesso e a nasconderti dietro la legge, il popolo, le prescrizioni.
Effettivamente la libertà cristiana non è il “faccio quello che voglio”, ma è un asservimento alla giustizia. Da schiavi di se stessi e del peccato si diventa schiavi di Cristo e della giustizia. Ma solo sotto questa schiavitù io sono perfettamente libero. La libertà non è adeguarmi alla mia natura, ma adeguarmi a Cristo. Lì trovo la mia vera identità, lì trovo la mia responsabilità di uomo, di donna (che è un’altra cosa che il fondare la propria vita su di sé, si tratta di assumersi le proprie responsabilità da uomo libero).
Non devi vivere nella disperazione di non poter essere libero (per le paure, per le ansie, per le regole) ma nella serenità della fede, di chi accetta la grazia immeritata e vive della fiducia verso la fedeltà di Dio semplicemente perché sa che gli appartiene.

Sul piano soggettivo la Bibbia ti propone (questo è il nostro messaggio):
1. Lasciati giudicare. Cioè diventa consapevole della tua situazione. Rifletti profondamente sulla realtà della tua vita. Sei davvero libero se non sei in grado di realizzare pienamente la tua vita, se non riesci ad essere l’uomo o la donna che dovresti essere e che vorresti essere? Il risultato del giudizio di Dio in Cristo non è la condanna, ma la consapevolezza; lasciati giudicare!
2. Accetta di essere liberato. Cioè rinuncia all’affermazione di te. Quanto sono importanti i tuoi obiettivi nella realizzazione della tua vita? Quanto costa agli altri la tua auto-affermazione? E quanto costa a te in termini di affanno! Ammetti che la tua libertà non viene da te, ma viene dalla verità che hai conosciuto in Cristo e che magari ha anche cambiato i tuoi obiettivi di vita.
3. Vivi una vita di fiducia in Dio. Cioè abbi fede! Accetta allora la responsabilità di essere te stesso; assumi il tuo compito di uomo, di donna libera che prende decisioni libere da sé e dagli altri. Su di te non c’è nessun giudizio, nessuna condanna, nessuna legge e perciò nessuna ansia, nessuna incertezza, nessuna paura. Arriva alla fine della tua vita potendo dire: “Ho realizzato la mia vita perché l’ho vissuta da uomo libero e questo non grazie a me, ma grazie a Gesù Cristo”.
4. Nasci di nuovo. Vivi cioè come una nuova creatura che ha origine in Dio e il cui destino è nella vita eterna. Perché solo coloro che sono nati dallo Spirito sono liberi come lo Spirito!

martedì 6 gennaio 2009

Filippesi 4:4 - La disciplina della gioia

Uno potrebbe chiedersi: “Ma cosa c’è da rallegrarsi?”

Eppure, l’apostolo Paolo, quando esorta i filippesi a rallegrarsi, era in prigione.
Non solo, ma non sapeva neppure se ne sarebbe mai uscito vivo. Inoltre, la comunità di Filippi era nei guai, la chiesa rischiava di spaccarsi e Paolo era per questo in ansia. Tutta la lettera è pervasa da un profondo senso di preoccupazione e di solitudine. Paolo stesso chiama il suo un «tempo di tribolazione» (che secondo l’idea di Paolo stesso è esattamente il concetto contrario all’allegrezza).
E allora, come mai Paolo, che riconosce di vivere in un tempo di tribolazione, esorta i filippesi a rallegrarsi? Si può vivere in un tempo di tribolazione ed essere ugualmente allegri? Si può essere in ansia e allegri nello stesso tempo? Possiamo noi, che viviamo tutta l’ansia di un tempo incerto, di recessione economica, di incertezza per il futuro, essere ugualmente allegri? Possono oggi i cristiani mostrare allegrezza in una società ansiogena? Si può predicare l’allegrezza in un tempo difficile come il nostro senza essere offensivi, provocatori, ingenui, ipocriti o insinceri?

Io sono convinto che la fede cristiana, per avere senso, deve essere gioiosa. Questo non significa che la fede consiste solo nella gioia, ma certamente che la gioia è un aspetto cruciale della fede. Appunto, la fede senza gioia è triste, perché una persona dovrebbe diventare cristiana per essere triste? Quando la gioia viene esclusa dall’esperienza di fede, questa viene corrotta e diventa qualcosa di sostanzialmente diversa da quello che la Bibbia ci dice debba essere.

Quali motivi porta la Bibbia per giustificare questa richiesta di gioia?
Avrete notato che l’apostolo Paolo scrive: «Rallegratevi!» Quel “rallegratevi” è un verbo all’imperativo, il verbo degli ordini, dei comandamenti. Come si fa ad obbligarsi ad essere allegri se la mia vita non me ne dà le ragioni? Come si fa ad ubbidire ad un comandamento come questo senza essere finti!? Il fatto è che anche la gioia è una disciplina spirituale. Tradizionalmente la gioia è considerata una disciplina spirituale comunitaria, quindi, la gioia non è qualcosa né di interiore, né di esteriore, ma riguarda la sfera comunitaria; la gioia non è un sentimento che viene da dentro di noi o che dipende da qualche circostanza esterna. Perciò, la gioia bisogna impararla e praticarla

Il primo motivo per cui la gioia è possibile è il ritorno del Signore. L’evangelo porta con sé il messaggio fondamentale che “il Signore Gesù viene”. Che si tratti dell’incontro dell’uomo con la Parola di Dio che conduce alla fede, o dell’incontro dell’individuo con Gesù che porta alla salvezza, o dell’incarnazione della parola di Dio in Gesù di Nazareth che fa entrare Dio nella storia umana, o della promessa dell’avvento del Regno di Dio, tutta la Bibbia è pervasa da questa dimensione della necessità e dell’urgenza che Dio venga, e venga presto. Il ritorno del Signore è l’aspirazione fondamentale del credente che attende la trasformazione del mondo nel regno di Dio; che attende il ritorno di Cristo che porti quella giustizia che noi non sappiamo realizzare, quella pace che noi non sappiamo costruire, quella serenità che noi non sappiamo darci. L’invocazione più pregnante e profonda del Nuovo Testamento è Maran-atà, Signore vieni! L’allegrezza predicata da Paolo trova il suo fondamento e il suo senso nel ritorno del Signore: «Rallegratevi … il Signore è vicino!». E’ proprio quando ogni illusione sulle possibilità umane di salvare il mondo crolla che può emergere finalmente la speranza nell’opera di Dio. E’ proprio perché si è certi della promessa che Gesù Cristo ritornerà per portare il suo Regno che ci si può misurare con la realtà del male e della sofferenza, senza illudersi di poterli debellare, ma senza neppure arrendersi ad essi. L’allegrezza non è spensieratezza, ma speranza. Il ritorno di Cristo porta la gioia della speranza.

Il secondo motivo per cui la gioia è possibile è l’amore di Dio. Gesù ha portato nel mondo una nuova qualità di amore. L’amore convenzionale, quello che tutti noi conosciamo, è suscitato dalle qualità della persona amata: la bellezza, la virilità, la simpatia, le doti del carattere, la cultura … L’amore portato da Cristo era evidentemente verso coloro che non avevano nessuna qualità di amabilità. Peccatori, samaritani, matti, collettori delle tasse, soldati romani. L’amore di Cristo era una iniziativa di Dio, una apertura di credito, qualcosa che dipendeva da chi ama, un dono. La scoperta di essere amati è una esperienza che trasforma l’esistenza, questo, in qualche modo, lo abbiamo sperimentato tutti, non solo vedere che esiste qualcuno che ti cerca e ti desidera, ma anche qualcuno che ti stima che cerca il tuo parere o la tua compagnia. Sentire L’amore abbatte la paura, scioglie i sensi di colpa, cancella la tristezza, annulla il senso di indegnità che ci portiamo dentro. Paolo dice: «Dio invece mostra la grandezza del proprio amore per noi in questo: che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi.» Cristo ci ha mostrato un amore che non dipendeva da noi, ma solo da lui. Questo amore dona la gioia del sentirsi amati.

Il terzo motivo per cui la gioia è possibile è la pace con Dio. Paolo dice: «Giustificati dunque per fede, abbiamo pace con Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore.» Il risultato dell’opera di Cristo è la pace con Dio. E’ quando noi incontriamo qualcuno che si rivolge a noi con accettazione e apprezzamento che sperimentiamo la nostra umanità; lo schiavo non percepisce di essere un essere umano alla pari del suo padrone. L’intenzione di Dio è stata proprio quella di ricostituire un rapporto umano spezzato. Questo significa che per noi cristiani la vita non è qualcosa di neutro, che può essere buona o cattiva a secondo delle circostanze. Al contrario per noi la vita è di per sé un dono di Dio, una benedizione, un esito dell’amore di Dio. Questo non significa che dobbiamo fare finta che la realtà della sofferenza, del male e delle difficoltà della vita non ci tocchino anzi, al contrario ci rendono più attenti al fatto che tutto ciò esiste ed è contrario al progetto di Dio. Il progetto di Dio è affermato in Genesi 1:31 «Dio vide tutto quello che aveva fatto, ed ecco, era molto buono.» I cristiani credono alla realtà del peccato. Sanno che peccato significa che la relazione corretta con Dio è stata lacerata e la pace con Dio ci è stata tolta e che le ragioni di gioia ci sono state sottratte. Ma la nostra gioia deriva dal fatto che Dio ha rimosso il peccato e ci ha restituito la pace con lui e con essa ci ha restituito le ragioni della gioia. E deriva anche dalla consapevolezza che la creazione è fondamentalmente buona e destinata alla salvezza. La pace con Dio porta la gioia di una relazione ritrovata.