giovedì 3 luglio 2008

Edifici ecclesiastici e spiritualità

Insieme alle "chiese" (non nel senso biblico delle comunità, ma in quello comune degli edifici) abbiamo ereditato anche la spiritualità che le ha concepiti. Esse, infatti, sono anche il risultato di un modo di concepire la fede. Si tratta di una fede stabilita, con dei fondamenti sociali solidi, nella quale la vita religiosa è rispettata e in qualche modo richiesta e incoraggiata. Si tratta di una fede centralizzata, in due sensi: 1) che ha bisogno di uffici, dipendenti e di una amministrazione. Se hai delle "chiese" hai anche una burocrazia. Inoltre, per manetenere le "chiese" hai bisogno dell'aiuto dello Stato. Ma la fede è centralizzata anche nel senso che essa, principalmente, si volge al’interno delle "chiese". Perciò esse inducono anche a un certo dualismo: ciò che si fa fuori e ciò che si fa dentro. Per questo tipo di fede hai bisogno anche dei sacerdoti. Questi hanno una funzione importantissima nella società: l’accompagnano, la guidano, la consigliano, la incoraggiano e la consolano nei momenti difficili. Insomma le "chiese" rappresentano la «religione del Tempio». Oggi la spiritualità è cambiata. Siamo nell’epoca di Internet e la gente “naviga”; c’è più movimento, ma meno sedentarietà. Le "chiese" servono meno, e spendere per mantenerle sembra sempre più uno spreco. Oggi molte chiese all’estero hanno dei piccoli gruppi casalinghi infrasettimanali e il culto lo svolgono affittando un cinema la domenica mattina. Siamo cioè tornati alla «religione del Tabernacolo», la “tenda di convegno” è il luogo meno stabile, ma più adatto a questa spiritualità. Il sacerdote serve a poco, il credente ha piuttosto bisogno di un profeta o meglio, di un apostolo, qualcuno che abbia una autorevolezza che non derivi dalla sua funzione, ma dalla sua fede e che sia in cammino con tutti gli altri. I legami esistono, ma non sono denominazionali o istituzionali, piuttosto sono fondati sulle affinità e sugli obiettivi, cioè sono dei network.
Quindi, il problema degli edifici ecclesiastici è, ancora una volta, spirituale. La decisione non è cosa ci facciamo con gli immobili, ma cosa vogliamo fare con la nuova spiritualità.
C'è bisogno di avviare una “transizione culturale” che riguardi 1) gli immobili e la loro relazione con il ministero effettivamente svolto in essi; 2) la formazione pastorale e degli altri ministeri, più deduttiva e legata al lavoro della chiesa locale con una particolare enfasi agli aspetti spirituali del ministero; e 3) la struttura ecclesiastica, meno centralizzata e più simile al network con formule di maggiore impegno di comunità e persone nella vita denominazionale attraverso delle “banche del tempo”.

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