venerdì 12 dicembre 2008

Giovanni 13:(2-11)12-17 - La disciplina del servizio

La parola greca usata qui dal vangelo di Giovanni per parlare di “servo” è δουλος, che in verità significa schiavo, e non servo (διάκονος). E c’è una bella differenza tra le due parole: una si riferisce al servitore dipendente di un datore di lavoro che perciò riceve un salario per il suo servizio, mentre la seconda si riferisce allo schiavo, che perciò è proprietà del suo padrone. Quindi, noi parliamo di “servizio” in quanto autorizzati dal fatto che il fenomeno della schiavitù è scomparso dalla nostra società occidentale e dalle moderne traduzioni della Bibbia, nondimeno, nel suo insegnamento, Gesù fa riferimento alla schiavitù e non alla servitù.
Gesù non dice di se stesso di essere uno schiavo, nondimeno ci dice che egli, consapevolmente, ha servito come uno schiavo: «Voi mi chiamate Maestro e Signore; e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, che sono il Signore e il Maestro, vi ho lavato i piedi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri.» Lo stesso chiede di fare ai suoi discepoli: «Infatti vi ho dato un esempio, affinché anche voi facciate come vi ho fatto io.» Quindi, i credenti non sono schiavi, anzi, sono liberi signori su se stessi e sul mondo, eppure, essi servono il prossimo come se fossero schiavi.

Lasciatemi spiegare meglio questo importante concetto, che comprende la servitù cristiana come vero effetto della libertà cristiana.
La libertà cristiana è una libertà interiore creata dalla grazia; per cui noi credenti siamo persone perfettamente libere e non siamo schiavi di nessun uomo, se non di Cristo. Ma a questa libertà cristiana dell’uomo interiore, si affianca la servitù dell’uomo esteriore: il credente si sottopone umilmente a tutto e a tutti, non per obbedire alla legge delle opere, ma nella gioia della libertà; si può fare esteriormente schiavo perché è interiormente libero!

Quindi, 1) il cristiano è completamente libero, signore di tutte le cose, non sottoposto a nessuno; e nello stesso tempo 2) è il più sollecito servo di tutti, sottoposto a tutti.

L’apostolo Paolo scrisse: «Pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti.» e Lutero diceva che l’amore «è per sua natura pronto al servizio e sollecito verso ciò che ama». Il cristiano è quindi libero dal peccato e servo dell’amore. L’amore è il vero limite della libertà.

La tradizione della chiesa ha posto il servizio tra le discipline spirituali esteriori dando per scontato che il servizio sia qualcosa di fondamentale e di irrinunciabile per la vita spirituale di ogni credente e che deve essere imparato, perché non è naturale farsi servi degli altri. E’ esteriore perché è una disciplina che riguarda le relazioni umane.

Nel considerare il ministero di Gesù nel suo complesso, salta agli occhi quanta importanza avessero per lui i bisogni delle persone. Sfamare gli affamati, guarire i malati, liberare i posseduti. Gesù mangiò con gli emarginati; liberò i suoi discepoli dalla paura calmando le acque; era accessibile a tutti, anche ai bambini e ai matti; incontrava folle e individui. Se si togliessero questi racconti dai vangeli rimarrebbe solo il racconto della Passione (sempreché non si consideri anche la Passione di Gesù un atto di servitù).

Eppure, per chi legge i vangeli, è chiaro che non erano i bisogni della gente che determinavano l’azione di Gesù. Non erano né le folle, né gli individui; né i discepoli, né le autorità religiose. Ciò che determinava l’azione di Gesù era la volontà di Dio. Gesù non guarì tutti gli ammalati, non liberò tutti i posseduti, non sfamò tutti gli affamati e non ridiede la vita a tutti quelli che erano nel dolore. Le sue azioni erano prima di tutto segni del regno di Dio e non panacee universali. Gesù sentiva una profonda responsabilità verso quel patrimonio prezioso che è un individuo.


Avendo vissuto per tre anni davanti a loro come un servo, Gesù chiama i suoi discepoli a fare lo stesso: «Se dunque io, che sono il Signore e il Maestro, vi ho lavato i piedi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Infatti vi ho dato un esempio, affinché anche voi facciate come vi ho fatto io

Il nostro problema è che questa parola è troppo difficile da ubbidire.

Avremmo preferito che Gesù ci avesse chiesto di rinnegare padre e madre, di rinunciare ad ogni ricchezza, di dare la nostra vita al martirio, piuttosto che prendere un asciugamano e lavare i piedi a qualcuno. Perché l’ubbidienza radicale in qualche modo ci dà il brivido dell’avventura e persino il martirio ci dà la speranza della gloria, ci sono delle remunerazioni per queste cose! Ma il servizio ci chiede di fare l’esperienza di morire ogni giorno a noi stessi, senza contraccambio. Nel servizio chi conta non sono io, ma l’altro. Io esisto per l’altro e non per me stesso. Questo è davvero troppo!

Ma il servizio dà anche una grande libertà, quella di poter dire No! ai giochi di potere del mondo. Il servizio abolisce il bisogno di arrivare sempre primi o, almeno, di stabilire "l’ordine di beccata" della vita. Del resto, il servizio non significa neppure l’abbandono di ogni autorità. Gesù non fece altro che servire, ma la sua autorevolezza ne crebbe, non diminuì. Gesù fece derivare la sua autorità non da qualche carica sociale o religiosa, ma dall’autorevolezza con cui svolgeva la sua funzione. Anche per noi, il servizio non punta ad abbandonare l’autorità, ma ad ottenerne una che viene dalla vita vissuta, dall’integrità, dalla verità, dalla sincerità. L’autorità che conta nella comunità non deriva da un titolo, ma da un asciugamano.

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