martedì 6 gennaio 2009

Filippesi 4:4 - La disciplina della gioia

Uno potrebbe chiedersi: “Ma cosa c’è da rallegrarsi?”

Eppure, l’apostolo Paolo, quando esorta i filippesi a rallegrarsi, era in prigione.
Non solo, ma non sapeva neppure se ne sarebbe mai uscito vivo. Inoltre, la comunità di Filippi era nei guai, la chiesa rischiava di spaccarsi e Paolo era per questo in ansia. Tutta la lettera è pervasa da un profondo senso di preoccupazione e di solitudine. Paolo stesso chiama il suo un «tempo di tribolazione» (che secondo l’idea di Paolo stesso è esattamente il concetto contrario all’allegrezza).
E allora, come mai Paolo, che riconosce di vivere in un tempo di tribolazione, esorta i filippesi a rallegrarsi? Si può vivere in un tempo di tribolazione ed essere ugualmente allegri? Si può essere in ansia e allegri nello stesso tempo? Possiamo noi, che viviamo tutta l’ansia di un tempo incerto, di recessione economica, di incertezza per il futuro, essere ugualmente allegri? Possono oggi i cristiani mostrare allegrezza in una società ansiogena? Si può predicare l’allegrezza in un tempo difficile come il nostro senza essere offensivi, provocatori, ingenui, ipocriti o insinceri?

Io sono convinto che la fede cristiana, per avere senso, deve essere gioiosa. Questo non significa che la fede consiste solo nella gioia, ma certamente che la gioia è un aspetto cruciale della fede. Appunto, la fede senza gioia è triste, perché una persona dovrebbe diventare cristiana per essere triste? Quando la gioia viene esclusa dall’esperienza di fede, questa viene corrotta e diventa qualcosa di sostanzialmente diversa da quello che la Bibbia ci dice debba essere.

Quali motivi porta la Bibbia per giustificare questa richiesta di gioia?
Avrete notato che l’apostolo Paolo scrive: «Rallegratevi!» Quel “rallegratevi” è un verbo all’imperativo, il verbo degli ordini, dei comandamenti. Come si fa ad obbligarsi ad essere allegri se la mia vita non me ne dà le ragioni? Come si fa ad ubbidire ad un comandamento come questo senza essere finti!? Il fatto è che anche la gioia è una disciplina spirituale. Tradizionalmente la gioia è considerata una disciplina spirituale comunitaria, quindi, la gioia non è qualcosa né di interiore, né di esteriore, ma riguarda la sfera comunitaria; la gioia non è un sentimento che viene da dentro di noi o che dipende da qualche circostanza esterna. Perciò, la gioia bisogna impararla e praticarla

Il primo motivo per cui la gioia è possibile è il ritorno del Signore. L’evangelo porta con sé il messaggio fondamentale che “il Signore Gesù viene”. Che si tratti dell’incontro dell’uomo con la Parola di Dio che conduce alla fede, o dell’incontro dell’individuo con Gesù che porta alla salvezza, o dell’incarnazione della parola di Dio in Gesù di Nazareth che fa entrare Dio nella storia umana, o della promessa dell’avvento del Regno di Dio, tutta la Bibbia è pervasa da questa dimensione della necessità e dell’urgenza che Dio venga, e venga presto. Il ritorno del Signore è l’aspirazione fondamentale del credente che attende la trasformazione del mondo nel regno di Dio; che attende il ritorno di Cristo che porti quella giustizia che noi non sappiamo realizzare, quella pace che noi non sappiamo costruire, quella serenità che noi non sappiamo darci. L’invocazione più pregnante e profonda del Nuovo Testamento è Maran-atà, Signore vieni! L’allegrezza predicata da Paolo trova il suo fondamento e il suo senso nel ritorno del Signore: «Rallegratevi … il Signore è vicino!». E’ proprio quando ogni illusione sulle possibilità umane di salvare il mondo crolla che può emergere finalmente la speranza nell’opera di Dio. E’ proprio perché si è certi della promessa che Gesù Cristo ritornerà per portare il suo Regno che ci si può misurare con la realtà del male e della sofferenza, senza illudersi di poterli debellare, ma senza neppure arrendersi ad essi. L’allegrezza non è spensieratezza, ma speranza. Il ritorno di Cristo porta la gioia della speranza.

Il secondo motivo per cui la gioia è possibile è l’amore di Dio. Gesù ha portato nel mondo una nuova qualità di amore. L’amore convenzionale, quello che tutti noi conosciamo, è suscitato dalle qualità della persona amata: la bellezza, la virilità, la simpatia, le doti del carattere, la cultura … L’amore portato da Cristo era evidentemente verso coloro che non avevano nessuna qualità di amabilità. Peccatori, samaritani, matti, collettori delle tasse, soldati romani. L’amore di Cristo era una iniziativa di Dio, una apertura di credito, qualcosa che dipendeva da chi ama, un dono. La scoperta di essere amati è una esperienza che trasforma l’esistenza, questo, in qualche modo, lo abbiamo sperimentato tutti, non solo vedere che esiste qualcuno che ti cerca e ti desidera, ma anche qualcuno che ti stima che cerca il tuo parere o la tua compagnia. Sentire L’amore abbatte la paura, scioglie i sensi di colpa, cancella la tristezza, annulla il senso di indegnità che ci portiamo dentro. Paolo dice: «Dio invece mostra la grandezza del proprio amore per noi in questo: che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi.» Cristo ci ha mostrato un amore che non dipendeva da noi, ma solo da lui. Questo amore dona la gioia del sentirsi amati.

Il terzo motivo per cui la gioia è possibile è la pace con Dio. Paolo dice: «Giustificati dunque per fede, abbiamo pace con Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore.» Il risultato dell’opera di Cristo è la pace con Dio. E’ quando noi incontriamo qualcuno che si rivolge a noi con accettazione e apprezzamento che sperimentiamo la nostra umanità; lo schiavo non percepisce di essere un essere umano alla pari del suo padrone. L’intenzione di Dio è stata proprio quella di ricostituire un rapporto umano spezzato. Questo significa che per noi cristiani la vita non è qualcosa di neutro, che può essere buona o cattiva a secondo delle circostanze. Al contrario per noi la vita è di per sé un dono di Dio, una benedizione, un esito dell’amore di Dio. Questo non significa che dobbiamo fare finta che la realtà della sofferenza, del male e delle difficoltà della vita non ci tocchino anzi, al contrario ci rendono più attenti al fatto che tutto ciò esiste ed è contrario al progetto di Dio. Il progetto di Dio è affermato in Genesi 1:31 «Dio vide tutto quello che aveva fatto, ed ecco, era molto buono.» I cristiani credono alla realtà del peccato. Sanno che peccato significa che la relazione corretta con Dio è stata lacerata e la pace con Dio ci è stata tolta e che le ragioni di gioia ci sono state sottratte. Ma la nostra gioia deriva dal fatto che Dio ha rimosso il peccato e ci ha restituito la pace con lui e con essa ci ha restituito le ragioni della gioia. E deriva anche dalla consapevolezza che la creazione è fondamentalmente buona e destinata alla salvezza. La pace con Dio porta la gioia di una relazione ritrovata.

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