giovedì 29 gennaio 2009

Fondamentalisti e liberali, la differenza che NON c'è

Oggi, in seno al cristianesimo, ci sono due modi di pensare la fede che sono contrapposti ed antagonisti, spesso con scarsissimo amore cristiano: quello fondamentalista e quello liberale. Nessuno dei due si riconosce nell’etichetta che gli viene affibbiata dall’altro, ma siccome non si ascoltano, non cambiano. I due gruppi hanno una immagine stereotipata dell’altro e molto di ciò che si dicono viene più dallo spirito di giudizio che da quello di verità. Entrambi pensano di essere inesorabilmente distanti dagli altri, ma ciò non è completamente vero.

I fondamentalisti sono ossessionati dal problema della salvezza e, secondo loro, tutto si risolve “nell’accettare Gesù”. Questa frase significa che tu devi credere e dire che Gesù è morto sulla croce per il tuo peccato e che è risorto per la tua salvezza. Questa affermazione, detta con sincerità, ti salva. Nessun atto di ubbidienza è veramente necessario, neppure il primo e più ovvio: il battesimo. L’ubbidienza è importante, buona e richiesta, ma non è necessaria alla salvezza. La Bibbia infatti afferma che noi siamo salvati per grazia mediante la fede e non per merito mediante le opere.

Perché questo discorso, impeccabile dal punto di vista biblico, ci suona strano? Perché, come leggevo in un libro, Dio viene concepito come un lettore di codici a barre, di quelli che fanno “biip” quando leggono l’etichetta del prodotto e lo mettono in conto. Il lettore di codici a barre non si interessa di che cosa c’è nella confezione, gli importa solo di mettere in conto il prodotto. Se metti il codice a barre delle mele sulla busta delle pere, ti metterà in conto le mele anche se porti a casa le pere. Possibile che Dio si preoccupi solo di metterci in conto la sua giustizia appena pronunciamo la confessione della fede senza interessarsi del fatto che diventiamo discepoli? Il discorso sembra strano perché ci pare offenda l’intelligenza di Dio.

I liberali sono invece ossessionati dalla giustizia sociale e, secondo loro, il cristianesimo consiste nel lottare per la giustizia. Lottare per la giustizia significa essere dalla parte dei minimi e dei diseredati del mondo, difendere l’integrità del Creato e operare per la pace. Questa lotta non solo rappresenta una ubbidienza radicale e redentiva a Dio, ma incarna la natura più inerente di Dio: l’amore. Ogni altro aspetto della vita di fede è relativo e secondario perché Dio è amore.

Non vi sembra che a questo discorso manchi qualcosa? L’impressione viene dal fatto che in questo discorso manca la relazione con Dio. Dio da questo discorso è assente o, più precisamente, è alla sua origine, ne è solamente il principio. Ciò che rimane alla persona di fede è il suo impegno nel mondo. La fede corrisponde all’impegno sociale, la fede è l’impegno sociale. Possibile che Dio ci chieda esclusivamente di lottare per la giustizia, come può fare qualunque persona di buona volontà, senza chiederci di diventare suoi discepoli? Il discorso ci pare strano perché estromette Dio dalla sua relazione con il mondo.

Fondamentalisti e liberali hanno una radice comune, e questa radice è la fede staccata dalla vita. Nessuno dei due chiede al credente una vita di discepolato, la ritengono non strettamente necessaria: gli uni per la salvezza, gli altri per la lotta per la giustizia. Ma nella Bibbia è importante la salvezza ed è importante la lotta per la giustizia, la pace e il creato; però queste sono conseguenze di una cosa molto più importante, il nostro essere discepoli di Gesù. E’ diventare cittadini del Regno di Dio che veramente conta, questo salva noi e libera il mondo!

4 commenti:

Anonimo ha detto...

L'immagine che dai di queste "categorie" è un po' semplicista: non si può, a mio giudizio, prendere due comportamenti estremi e non rappresentativi per definirle. Da dove prendi questa immagine dei "fondamentalisti"? Chi pensa nel modo che descrivi, di fatto, è un'evangelicale puttosto rozzo e, il men che si possa dire, biblicamente "poco preparato" nei suoi stessi termini. Un evangelicale "che si rispetti" dirà, come afferma la Bibbia, che le opere e il discepolato cristiano sono l'evidenza di una persona veramente salvata, il frutto autentico della conversione. Non basta affatto questa "fede" se non sorge da una conversione profonda che l'ha trasformato veramente e che la sospinge sulla via dell'ubbidienza. Persino "accettare Gesù" è un termine discutibile: non è né può essere una questione semplicemente della mente e/o del cuore. E' ravvedimento e fede nell'Evangelo (l'opera di Cristo che gli guadagna salvezza), che si manifesta nel discepolato. Infine, quella che chiami "ossessione per la salvezza", va definita. Il cristiano fedele al Grande Mandato di Gesù, si preoccupa di accompagnare un'altra persona a Cristo, perché la salvezza, come lasciano falsamente intendere "i liberali", secondo il Nuovo Testamento non salva tutti indistintamente, ma solo chi si affida consapevolmente all'opera di Cristo, ravvedendosi da ciò che Dio considera peccato.

Italo Benedetti ha detto...

Caro Paolo, sono pienamente d'accordo con te. Non ho nulla da eccepire al tuo punto di vista e lo condivido. Ma troppo facilmente ascolto e leggo cose biblicamente infondate e teologicamente superficiali; questo non da rozzi estremisti, ma da rispettabili predicatori e leader. Basta una passeggiata in Internet per rendersene conto. Purtroppo esiste una "teologia popolare" anche tra gli evangelici (liberali e fondamentalisti).

Unknown ha detto...

Anche per me l'analisi è piuttosto semplicistica, manca più che altro quella che è a mio parere la differenza di fondo tra i due orientamenti: l'etica (che per i fondamentalisti è essenzialmente morale sessuale). Purtroppo chi legge la Bibbia come un manuale d'istruzioni da prendere alla lettera, la trasforma di un codice da osservare come duemila anni fa...E solitamente avviene anche qualche caso singolare..Nella mia chiesa c'è una cara sorella fondamentalista che pubblicamente, durante assemblee e incontri, attacca l'omosessualità facendosi scudo di due versetti Paolo, ma curiosamente non ricorda che lo stesso Paolo imponeva il silenzio alle donne..

Italo Benedetti ha detto...

Io continuo a pensare che nella loro essenza, fondamentalismo e liberalismo sono entrambi modi diversi di sfuggire al costo del discepolato. Mi dispiace per la signora fondamentalista della tua chiesa, ma non è il suo esempio che rende più profonda la tua analisi; né è la questione dell'omosessualità la discriminante tra chi è liberale e chi è fondamentalista. Affermare che l'etica sia "la differenza di fondo tra i due orientamenti" (che per i fondamentalisti è essenzialmente morale sessuale)significa non avere una idea precisa del fondamentalismo che invece è un modo di intendere l'autorità della Bibbia sulla chiesa e sul credente. Sulla questione del "la trasforma [la Bibbia] in un codice da osservare come duemila anni fa..." nemmeno il liberale più spericolato farebbe una affermazione del genere, perché a parte che la Bibbia non è mai stata usata come un codice nemmeno duemila anni fa (anni di dialogo ebraico-cristiano ci hanno insegnato che neanche il rapporto degli ebrei con la Legge era di quel tipo); ma significherebbe abolire l'autorità della Scrittura e il senso stesso della Riforma protestante, insomma ci resterebbero solo il Papa, il clero e la tradizione... Vero è che ci sono persone che hanno inteso la Bibbia come un codice, come del resto ci sono persone che risolvono l'etica cristiana nell'amore universale. Ma si tratta della "teologia popolare". Basarsi su questi fenomeni per giudicare un intero movimento risulta superficiale.