martedì 4 novembre 2008

Geremia 29:4-7 - Da chiese generiche a comunità incarnate


Se noi volessimo spiegare il senso del testo di oggi con una sola frase potremmo dire che “la geografia della salvezza è cambiata”. L’esilio babilonese è stato come un terremoto che ha cambiato per sempre il contesto della fede d’Israele. La profezia di Geremia fa quattro affermazioni sconvolgenti, destinate a modificare permanentemente l’atteggiamento di fede degli israeliti.

La profezia afferma che dietro l’esilio del popolo d’Israele a Babilonia c’è Dio. «Così parla il Signore degli eserciti, Dio d'Israele, a tutti i deportati che io ho fatto condurre da Gerusalemme a Babilonia». Questo significa che Dio non si è mostrato come il liberatore d’Israele, ma esattamente come suo oppressore. Contro tutta la tradizione biblica fino a quel momento, Dio si manifesta non come redentore d’Israele, ma come suo giudice. Il profeta Geremia, per questo, verrà additato come un falso profeta.
Si tratta di un’affermazione radicale e di una durezza inconcepibile per il popolo di Dio che la riceve. Soprattutto, qui c’è la condanna, ma non c’è la colpa. Perché questo giudizio così duro? Quale è stato il peccato del popolo che ha fatto meritare un tracollo di questa portata? Forse si potrebbe andare a leggere qualche pagina precedente del profeta per capire il peccato del popolo, ma rimane il fatto che la profezia stessa manca dell’affermazione del peccato del popolo, cioè manca di una giustificazione. Dio aveva già in passato punito il popolo per il suo peccato, questo Israele era pronto a capirlo, ma ora non viene detto perché! E’ cambiato qualcosa nella sua relazione con il suo popolo? Tutto ciò è inaccettabile per il popolo, ma Geremia lo chiama ad accettare questo giudizio.
Col senno di poi, noi possiamo però vedere che attraverso l’accettazione di questo giudizio così incomprensibile, Dio sta guidando il suo popolo verso l’adempimento della promessa fatta ad Abramo: «in te saranno benedette tutte le famiglie della terra». E’ dalla diaspora babilonese che nascerà il giudaismo del tempo di Gesù, nell’alveo del quale nascerà il cristianesimo. E’ chiaro che, comunque, con questa profezia il panorama della fede d’Israele cambia radicalmente e per sempre

La profezia afferma che Israele deve vivere a Babilonia come se vivesse nella terra promessa. «Costruite case e abitatele; piantate giardini e mangiatene il frutto; prendete mogli e generate figli e figlie; prendete mogli per i vostri figli, date marito alle vostre figlie perché facciano figli e figlie; moltiplicate là dove siete, e non diminuite.» Anche se può non sembrare così, in questa profezia Geremia sta offrendo una speranza e una precisa indicazione di come il popolo dovrà vivere in questa situazione completamente mutata. “Se Dio ha così radicalmente cambiato il suo atteggiamento verso di noi”, si chiede il popolo, “come possiamo vivere qui?” Molti falsi profeti, non avendo appunto una vera visione, vedevano una sola possibilità: che Dio avrebbe fatto tornare subito il popolo a casa. E il loro messaggio era contrario a quello di Geremia, cioè incoraggiava gli israeliti a non adattarsi e a tenersi pronti per tornare (il messaggio più ovvio, quello più biblico e teologicamente coerente). Il popolo era in grande sofferenza, tenuto sulle braci da una leadership cieca che non riusciva a capire realmente cosa stava accadendo.
Anche se questo non era ciò che il popolo voleva ascoltare – cioè che l’esilio sarebbe stato lungo – nondimeno la profezia dà una precisa indicazione al popolo: “piantate le tende, rimarremo qui!” (i falsi profeti non sapevano dare alcuna indicazione di cosa fare). Ma non solo questo, Geremia offre anche una speranza al popolo; tre versetti più in là nella stessa profezia Geremia dice: «Infatti io so i pensieri che medito per voi», dice il Signore: «pensieri di pace e non di male, per darvi un avvenire e una speranza.» (v. 11), cioè, il vostro avvenire è nelle mani sicure e benevole di Dio che non mancherà di farvi conoscere le sue benedizioni (come effettivamente avverrà).
Geremia dice: “vivete come se foste a Gerusalemme”. Facile a dirsi, ma come si fa? A Babilonia manca tutto: non solo non è la terra promessa, ma manca il regno davidico, manca Gerusalemme dove si sarebbero compiute tutte le promesse, manca il tempio per i sacrifici. Come si può rimanere fedeli a Babilonia? Ma grazie alla profezia di Geremia, gli israeliti a Babilonia faranno nascere un nuovo modo di essere ebrei. Inventeranno la sinagoga; emergerà una nuova leadership, i farisei; e la fede sarà fondata sulla legge e non più sul tempio. A Babilonia nasce il giudaismo.

La profezia afferma che Dio ama i babilonesi. «Cercate il bene della città dove io vi ho fatti deportare, e pregate il Signore per essa». Anche questa affermazione arriva come una doccia fredda. Israele non è l’unico popolo di cui Dio si prende cura e che benedice. Yahwe non è l’idolo di una piccola nazione del Medio Oriente di cui solo si prende cura, ma è l’iddio creatore del cielo e della terra, colui che guida i popoli e la storia. Dio ha stretto un patto d’alleanza eterno con Israele, ma tuttavia il mondo e i popoli rimangono suoi. Dio ha eletto un popolo come sua eredità particolare, ma non ha abbandonato tutti gli altri a loro stessi. Certo, Babilonia non lo riconosce, ma nondimeno egli è il loro Dio. Nessuno ha il monopolio su Dio, nemmeno Israele (né la Chiesa). Dio è un Dio universale.

La profezia afferma che Israele ha una missione a Babilonia. «Dal bene di questa dipende il vostro bene». E’ venuto il momento che Israele comprenda ed attui il suo mandato, quello che era all’origine della vocazione di Abramo: «in te saranno benedette tutte le famiglie della terra». Questo include Babilonia. Israele, come il profeta Giona, è trascinato alla sua missione.
Vorrei che fosse chiara l’entità dello sconvolgimento a cui è stata sottoposta la fede d’Israele: Dio è un Dio universale; la sua promessa è per tutte le famiglie della terra; Israele viene inserito in un panorama totalmente cambiato e deve trovare nuove forme di fedeltà, la sua è diventata una missione. Davvero la geografia della salvezza è cambiata!

Io credo che oggi, come per Israele durante l’esilio babilonese, sia cambiata la geografia della salvezza. Nuovi approcci sono necessari. Israele è uscito dall’esperienza dell’Esilio profondamente cambiato e forse anche noi siamo chiamati a dei cambiamenti radicali. Si tratta di avere un impatto sulla società.
Parlare di impatto ci costringe a considerare gli effetti della nostra missione complessiva, che riguarda tanto l’evangelizzazione quanto la diaconia, tanto la conversione quanto la liberazione. Parlare di impatto ci costringe anche a concepirci all’interno di una missione complessiva dove non c’è chi predica e chi serve, ma ci sono solo discepoli che vivono l’evangelo in parole ed azioni in un rapporto stretto col Signore.
Questo impatto è all’interno della strategia di Dio per la salvezza del mondo: la cospirazione divina.
La consapevolezza che come credenti noi siamo cittadini del regno di Dio (come Israele che scopre di essere diventato cittadino babilonese) ci porta in una situazione completamente mutata che richiede decisioni nuove. Se vogliamo applicare alle comunità evangeliche la profezia di Geremia, dobbiamo dire che dobbiamo passare dall’essere comunità generiche all’essere comunità incarnate. Forse dietro questi grandi cambiamenti sociali che riguardano la chiesa, alcuni dei quali dolorosi, c’è la mano di Dio; forse dobbiamo cominciare a vivere come cittadini del regno di Dio; forse dovremmo riconoscere che Dio non ama solo la chiesa, ma ogni uomo e ogni donna; forse il bene del mondo è anche il nostro bene e noi abbiamo un compito qui.
Per questo motivo credo che dovremmo cominciare a ragionare più che nei termini della crescita della chiesa, cosa che ci spinge ad una evangelizzazione aggressiva e superficiale; più che nei termini della presenza nella società, che ci spinge ad una lotta ideologica e antagonistica; dovremmo parlare nei termini della crescita del regno di Dio nel mondo, diventando comunità incarnate e rimettendo al centro del nostro discorso il discepolato.

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