lunedì 10 novembre 2008

Matteo 28:18b-20 - Il Discepolato come Missione della Chiesa

La chiesa è, per sua natura, estroversa. Essa non chiama a sé il mondo, ma è essa chiamata, da Gesù, ad andare nel mondo. Questa è la sua missione. La chiesa va nel mondo perché è lo strumento dell’iniziativa di Dio a favore del mondo.
Quindi, la preoccupazione maggiore della comunità cristiana è quella di formare dei discepoli di Cristo nel mondo e non semplicemente dei “buoni membri di chiesa”. Essa é una “palestra” di spiritualità; non la tana dove ci si rifugia per sottrarsi alle responsabilità e alla missione verso il mondo, ma il luogo dove si torna per trovare nuova linfa, sostegno, formazione e confronto nella propria missione nel mondo.

Su queste parole di Gesù bisogna dire almeno due cose:

La prima. Tre sono le parole che scandiscono il ritmo di questo mandato e che, in qualche modo, pongono le caratteristiche fondamentali della missione cristiana: «Andate», «Fate miei discepoli», «Insegnando».

La prima caratteristica è quella dell’andare (questo verbo andrebbe tradotto con “andando”, con il significato di “mentre andate”). Uno dei significati della parola discepolo è “seguace”, cioè colui che segue qualcuno. Un antico detto ebraico dice: «Segui il rabbino, bevi dalle sue parole e bagnati nella polvere dei suoi sandali». Questa è l’essenza del discepolato e l’essenza dei discepoli di Gesù: seguire il Maestro, dissetarsi dalle sue parole e camminare così vicino a lui da rimanere impolverati della polvere sollevata dai suoi passi. Gesù disse al giovane ricco: «Tu vieni e seguimi». Essere discepoli in primo luogo significa andare dove va il Maestro, farsi guidare da lui, seguirlo, essere con lui, vivere con lui. Non si può immaginare un discepolo che viva lontano e che segua vie diverse da quelle del suo Maestro.

La seconda caratteristica è quella dell’imparare. Il significato principale della parola discepolo è ovviamente “colui che impara”. Il discepolo “beve dalle parole del Maestro”. La relazione che c’è tra il Maestro e il discepolo è quella che c’è tra chi insegna e chi impara. Il Maestro insegna, il discepolo impara. Da questo si riconosce il vero discepolo: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola». Essere discepoli di Gesù significa “essere con lui per imparare da lui ad essere come lui”. Il discepolato non è fatto per rimanere come si è. E non si può immaginare un discepolato che non implichi la trasformazione del carattere e della vita del discepolo.

La terza caratteristica è quella dell’insegnare. Il discepolo non solo segue il Maestro, non solo impara da lui, ma anche insegna ad altri ad essere discepoli. Con la sua esperienza di discepolo può insegnare ad altri ad esserlo. Gesù stesso ha detto: «Chi ascolta voi ascolta me; chi respinge voi respinge me, e chi rifiuta me rifiuta Colui che mi ha mandato». C’è una specie di “cinghia di trasmissione” della parola da Dio fino all’ultimo discepolo. Essere discepoli è una esperienza che deve essere trasmessa. L’insegnamento è primariamente un insegnamento all’ubbidienza: «a osservare tutte quante le cose che vi ho comandate». Non si può scindere il discepolato all’ubbidienza, ed è questa ubbidienza, tanto difficile da ottenere, che va insegnata.

C’è da aggiungere una cosa, al riguardo del discepolato, che ci viene dal contesto. Gesù stesso incapsula il versetto 19, dove dice: andate, fate discepoli, insegnando … all’interno di una cornice. L’inizio del detto di Gesù è: «Ogni potere mi è stato dato in cielo e sulla terra» e alla fine conclude: «Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine dell'età presente». Questa cornice è molto importante, perché stabilisce un cosiddetto “paradigma”, cioè un quadro di riferimento all’interno del quale le parole dette hanno un significato e un potere. Ossia, quelle parole di Gesù sono concepibili solo all’interno di quel quadro di riferimento. Questo quadro è costituito da un lato dal potere di Cristo che gli è stato dato in cielo e sulla terra, e dall’altro dalla presenza di Cristo con i discepoli per sempre. Senza questo potere e questa presenza di Cristo, il suo mandato sarebbe per noi velleitario. Un autore dice che le promesse che Gesù ha fatte per questo tempo fino al suo ritorno, sono fatte precisamente ai suoi discepoli. Chi non è suo discepolo e legge queste promesse come se fossero rivolte a lui è come qualcuno che tenta di incassare un assegno che non è suo: è una cosa che riesce raramente!

La seconda cosa che bisogna dire di questo testo. Il comandamento che riceviamo da Gesù è: «Fate miei discepoli». In questo grande mandato di Gesù il verbo all’imperativo – cioè quello che contiene il comando – è solo questo «fate miei discepoli». A rigor di termini, tutti e tre i verbi compongono il mandato di Gesù, ma solo quello centrale rappresenta un comandamento. Quindi, il comandamento di Gesù risorto ai suoi discepoli è uno solo: «fate miei discepoli»; gli altri due verbi ci dicono come: andando e insegnando. Qui non c’è scritto né “salvate ogni persona umana”, né “salvate il mondo”; ma solamente «fate miei discepoli». Ciò che viene messo in risalto è il discepolato stesso, cioè la relazione dei credenti con il loro Signore. C. S. Lewis (l’autore di “Le cronache di Narnia”) ha scritto che la nostra fede non è questione di ascoltare quello che Cristo ha detto tanto tempo fa e cercare di metterlo in pratica. Piuttosto, la fede consiste nell’avere il vero Figlio di Dio al nostro fianco che cerca di trasformarci nello stesso tipo di persona che lui è. Per così dire egli inocula la sua vita eterna in noi e noi veniamo trasformati in persone vive della sua vita. Ciò è possibile solo in questo stretto discepolato.

La terza cosa che bisogna dire di questo testo. Insegnare l’ubbidienza è parte integrante del discepolato. La trasformazione del nostro carattere e della nostra vita è parte integrante del messaggio di salvezza. Oggi la chiesa si è abituata al rapporto “clientelare” con i propri membri. Molti di quelli che fanno parte della chiesa, o semplicemente la frequentano, hanno un rapporto con la chiesa e non con Cristo. Per molti la chiesa è “interessante” culturalmente e socialmente, per altri l’aver creduto a Gesù non è significato una vera trasformazione della vita, è stato un rapporto (per mille ragioni) terminato prematuramente. La fede cristiana è una grandiosa opportunità di cambiare il nostro carattere e il modo in cui viviamo la nostra vita che non viene sfruttata. Questo non significa che solo i discepoli verranno salvati. Ma io mi chiedo: “come farà una persona amareggiata, con il cuore gonfio di risentimento e di rabbia, incapace di perdonare, disabituata ad amare gratuitamente e senza ritorno, a vivere in paradiso?” Non è solo una questione di salvezza per grazia, ma anche una questione di “essere pronti a vivere col Signore”. Siamo sicuri che chi va con il Signore sarà automaticamente capace di viverci? Vivere come discepoli significa imparare a vivere accanto al Signore.

Quindi, come si “fanno discepoli di Cristo”?
Prima di tutto per fare discepoli bisogna essere discepoli. Questo comandamento di Gesù ci chiede, se non l’abbiamo già fatto, di diventare discepoli per poter fare discepoli. E per fare questo dobbiamo agire su quelle idee che ci prevengono dal diventare discepoli e di usare questa introspezione per poter fare una esperienza utile per parlare a coloro che vogliamo diventino discepoli di Gesù.
se volessimo usare un motto per questo testo potremmo dire così: “Nel proprio discepolato, fare discepoli educando al discepolato”.
Il discepolato ha come obiettivo la trasformazione, questa è la parola chiave.
· Il discepolato vuole cambiare il carattere delle persone, le loro idee, i loro valori negativi che rendono la nostra vita privata miserabile.
· Vuole cambiare il modo in cui viviamo la nostra vita, i nostri stili di vita eccessivi, egoistici e distruttivi che minano le nostre relazioni umane.
· Vuole, in definitiva, cambiare il mondo e le sue regole inique, ingiuste, che tolgono la pace e distruggono la terra, per ristabilire l’equilibrio sano e felice della creazione.
Il discepolato significa: “essere con lui per imparare da lui ad essere come lui”.

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